Mar 312015
 

Moschea

SUCCEDE sempre qualcosa di nuovo alla Dante anche quando meno te lo aspetti. La prof.ssa Moscato, organizza l’annuale visita alla settimana scientifica presso il Convitto Cutelli e in men che non si dica siamo tutti in rotta verso quei luoghi. Una giornata tutto sommato discreta visto le precedenti.

SUCCEDE che alle 9:30 puntualissimi prendiamo la metropolitana direzione Porto. Una goliardica traversata, sempre piena di allegria quando ci sono gli allievi e dopo poco siamo arrivati.

Gli alunni del Convitto ci aspettavano e subito tra una presentazione e l’altra iniziamo il nostro giro pieni di curiosità tra quei banchi da alchimisti e azzeccagarbugli.

SUCCEDE poi che gli alunni, dopo qualsiasi attività, reclamano come sempre l’ora della merenda e finito il nostro giro e salutati i nostri ospiti, subito in piazza per consumare tavola calda e merendine.

SUCCEDE che un’alunna scorge dall’altro lato della piazza una strana costruzione, da poco ristrutturata e da cosa accade cosa; si tratta di una moschea e chiedo all’ingresso se è possibile visitarla, spinto dalla curiosità collettiva.

SI, SI PUO’.

E’ stata un’esperienza incredibile, un momento di integrazione religiosa e culturale tra popoli e pensieri diversi. I nostri anfitrioni, un simpatico ragazzo senegalese e un altro egiziano, ci hanno guidato durante la visita e illustrato i segreti di una religione e di un credo molto lontani da noi, ma dopo questa giornata anche molto vicini.

SUCCEDE che siamo usciti tutti arricchiti da questa esperienza di integrazione e amicizia.

SUCCEDE che….speriamo SUCCEDA di nuovo.

Mar 222015
 

Persiani ed egiziani ci hanno insegnato tanto. Vivere in luoghi in cui le condizioni climatiche per buona parte dell’anno sono proibitive, ha consentito loro di sviluppare semplici e ingegnose tecniche per rinfrescare gli ambienti durante il giorno. Sulla loro esperienza millenaria, del raffrescamento evaporativo, utilizzato per rendere meno calda l’aria che entrava di giorno negli ambienti chiusi, una società americana ha sviluppato un’idea semplice e ingegnosa.

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La Emerging Objects (sito che vi consiglio vivamente di visitare), ha realizzato un particolare tipo di mattone da utilizzare sulle pareti, stampato in 3D capace di rinfrescare l’aria secondo il principio di evaporazione prima citato, attraverso il materiale poroso con cui sono costituiti.

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Il mattone, funge come una spugna che, una volta bagnata filtra l’aria che lo attraversa la quale cede calore alle molecole d’acqua contenute al suo interno raffreddandosi.

In pratica, l’aria calda e umida che proviene dall’esterno, attraversando la griglia bagnata, per il principio dell’evaporazione cede parte del suo calore entrando nell’ambiente interno ad una temperatura più bassa come se stesse funzionando da condizionatore d’aria. La differenza sostanziale è che tutto questo accade in maniera assolutamente green e senza il consumo energetico proprio di un condizionatore d’aria.

Assemblaggio dei mattoni

Assemblaggio dei mattoni

L’idea è straordinariamente semplice ma con effetti positivi non trascurabili. Potremmo eliminare del tutto i condizionatori d’aria realizzando ottimi risparmi energetici soprattutto in quei paesi caldi o nelle stagioni estive, contribuendo contemporaneamente a mantenere pulito l’ambiente evitando che i gas refrigeranti dei condizionatori vengano dispersi nell’atmosfera.

E’ chiaro che questo tipo di soluzione costruttiva andrà applicata alle nuove edificazioni (anche perché l’applicazione alle vecchie richiederebbe la demolizione delle pareti esistenti) e soprattutto bisognerà verificare la tenuta strutturale e meccanica alle sollecitazioni, visto le numerose funzioni cui assolvono i mattoni oltre che a quella termica.

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Mar 182015
 

La scienza continua a fare grandi passi avanti e le grandi scoperte sono sempre più numerose e sempre più importanti. Questa volta parliamo di energia e per la prima volta l’agenzia spaziale giapponese (JAXA) è riuscita nell’impresa di trasmettere elettricità a distanza in modo molto simile a quello che avviene normalmente con le onde radio.

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L’esperimento, ha consentito di trasferire 1,8 kilowatt di energia a distanza di 55 metri per mettere in funzione un bollitore elettrico non connesso alla rete. Anche se la potenza è limitata e la distanza non grandissima, il risultato è incredibile perché è la prima volta che si riesce in questa impresa.

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L’esperimento apre grandissimi orizzonti nel campo dell’approvvigionamento energetico mondiale. L’obiettivo è quello di riuscire a trasmettere grandi quantità di energia pulita (solare) a infinite distanze in modalità wireless.

Il fabbisogno energetico mondiale cresce annualmente sia per l’incremento demografico che per le crescenti dotazioni tecnologiche che caratterizzano la nostra quotidianità. Oggi, la fonte alternativa che offre le maggiori prospettive di sviluppo oltre che di durata, è il solare, ma in questo caso bisogna sempre confrontarsi con i limiti fisici che lo sfruttamento di questa fonte si porta dietro. Il sole, infatti, non irraggia contemporaneamente tutta la superficie terrestre ma solo una metà; è soggetta alle bizze del clima e risulta maggiore nella fascia equatoriale, li dove i raggi colpiscono la Terra perpendicolarmente, piuttosto che trasversalmente come avviene alle alte latitudini o ai poli.

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Il posizionamento di una grande centrale orbitante fotovoltaica, potrebbe risolvere definitivamente questi problemi di energia, captando i raggi solari pienamente tutto l’anno senza alcuna interruzione o problema logistico-territoriale.

Il progetto, a cui lavora l’agenzia spaziale giapponese, denominato Space Solar Power Systems, consisterebbe nel piazzare in orbita delle stazioni fotovoltaiche a circa 36.000 km di distanza dalla Terra.

Un bel progetto, ma lungi dall’essere privo di problemi e difficoltà. Innanzitutto lo sviluppo della tecnologia, ossia superare gli ostacoli fisici e tecnici che consentirebbero la messa in pratica di quanto ipotizzato e poi quelli logistici del realizzare queste mega-strutture e di posizionarle in orbita oltre ai problemi successivi di manutenzione e gestione.

Vedremo, ma come ci avvertono gli scienziati della JAXA potrebbero volerci ancora decenni. Noi tifiamo per la JAXA.

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https://www.youtube.com/watch?v=D56vRfv71OA

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Mar 152015
 

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Non passa giorno, oramai, che una società più o meno note proponga una soluzione definitiva per la ricarica di energia per dispositivi mobili. La competizione si sviluppa su due aspetti chiave: la velocità di ricarica e il costo per l’utente finale. La fetta di mercato che si contendono è molto appetibile e chi per primo riuscirà a raggiungere questo traguardo realizzerà profitti da record.

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Non molto tempo fa, su queste pagine abbiamo presentato due nuove soluzioni nel campo della ricarica energetica che avrebbero dovuto raggiungere lo stato di commercializzazione proprio in questo 2015. Purtroppo ciò che ancora ritarda il successo di questi dispositivi sono i costi che questi hanno per l’utente finale.

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Al Mobile World Congress di Barcellona, la società svedese myFC, ha presentato JAQ, un caricatore a celle combustibile capace di rendere la ricarica, pratica, tascabile e soprattutto economica. JAQ è un dispositivo di seconda generazione, uscito dopo PowerTrekk (di cui abbiamo già parlato) già in commercio al prezzo di 199 euro con cartucce di 1,90 euro ciascuna.

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Le versioni mostrate in queste immagini e mostrate all’esposizione di Barcellona sono prototipi non funzionanti, ma la società garantisce che peso e dimensioni saranno mantenute anche nella versione finale.

I vantaggi saranno evidenti: i caricatori a celle combustibile, non hanno bisogno di essere ricaricate di volta in volta, ma producono energia al momento utilizzando apposite cartucce contenenti acqua e sale. La società ha affermato che le cartucce costeranno non più di un euro per una ricarica di 2400 mAh, mentre il caricatore JAQ costerà solo 100 €. Anche se una data precisa non è stata fornita, l’uscita è prevista per la fine di quest’anno.

Staremo a vedere e come al solito seguiremo l’evoluzione di questo e altri prodotti innovativi.

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Mar 112015
 

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SPRING FORWARD 2015

Uno special event da ricordare, forse come quelli in cui furono presentati iPod e iPhone rispettivamente. Intitolato Spring Forward 2015, l’evento come sempre cela dietro al proprio nome il significato e il senso di quello che sarà presentato. Spring in questo caso non sta per primavera, ma per molla, si proprio le vecchie molle che si usavano per caricare gli orologi da polso; Forward, in avanti, dovrebbe indicare l’evoluzione della molla, cioè l’evoluzione dell’orologio da polso non come strumento per verificare l’ora o il giorno, ma qualcosa di più, che Tim Cook e il suo team di ingegneri ha presentato alla maniera di Steve Jobs sul palco del Yerba Buena Center of Arts di San Francisco.

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Dettaglio del caricabatterie magnetico

Come ogni dettaglio, anche il caricabatteria progettato da Apple è un gioiello di tecnologia. Simile al Magsafe dei MacBook, questo bottone magnetico, mette in carica la batteria dell’ Watch in grado di durare ben 18 ore consecutive, in sole due ore. Il sistema magnetico è utilizzabile anche al buio, infatti non sarà necessario allineare perfettamente i due oggetti, perché provvederanno in modo autonomo i magneti interni.

INTERFACCIA

 Watch si interfacce perfettamente con iPhone di cui diventerà un’insostituibile estensione. Consentirà di rispondere alle telefonate e comunicare tramite microfono oppure attraverso auricolari bluetooth, di effettuare chiamate attraverso l’assistente vocale SIRI, richiamabile con la pressione della corona dentale laterale, di aggiungere appuntamenti su iPhone, di ricevere email e inviare messaggi tramite dettatura.

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Le icone della nuova interfaccia utente dell’Apple Watch

Inoltre, consentirà di comunicare con altri  Watch attraverso semplici disegni realizzabili con il dito sullo schermo oppure con appositi emoji animati tramite la tecnologia Digital Touch (ricordiamoci che su un dispositivi così piccolo manca la tastiera).

Per l’uso di molte funzioni, l’orologio riconoscerà il contatto con la pelle, in modo da non intervenire e risparmiare la batteria quando non è indossato. Questo eviterà, ad esempio, che il dispositivo si svegli e disturbi quando il proprietario è a letto e dorme.

DIGITAL CROWN

Digital Crown

Digital Crown

Per funzionare, l’orologio intelligente di Apple, si basa su due elementi: Digital Crown, la Corona digitale, uguale a quella degli orologi classici alla quale però sono assegnate tutta una serie di nuove azioni, come richiamare SIRI, zoom dello schermo, dettaglio delle mappe, ecc.

L’altro elemento si chiama Digital Touch, il tocco digitale in grado di percepire quanto si sta premendo il dito sullo schermo. E’ una evoluzione del touch tipico di iPhone e iPad. Con il Force touch (premendo sul display) è possibile cambiare il quadrante, ad esempio da orologio a Instagram.

SALUTE

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Sensori per il fitness

Un vero e proprio assistente per la salute indomabile. I sensori posti sul fondo della cassa e poggiati sulla pelle del nostro braccio, registrano parecchi dati che ci riguardano. Ad esempio quanto abbiamo camminato durante il giorno suggerendoci di fare di più se siamo stati troppo fermi. Ci avvisa se il tempo di sedentarietà trascorso davanti al computer o la tv è eccessivo.

Per lo sport i dati abbondano: registrazione di tempo, distanza, calorie bruciate e ritmo. Vere e proprie sessioni di allenamento con suggerimenti, statistiche, dati, che aiutano lo sportivo durante la sua attività preferita. inoltre, proprio come un bravo trainer, registra le sessioni di allenamento e stabilisce obiettivi più ambiziosi spronando chi lo indossa a fare di più per migliorare la propria performance.

APPLE PAY

Apple Pay sistema di pagamento integrato di Apple

Apple Pay sistema di pagamento integrato di Apple

PayPal, Visa, Mastercard sono avvisati.  Watch ha già integrato il sistema di pagamenti contactless made in Cupertino che tanto successo sta già riscuotendo negli Stati Uniti. Presto, grazie ad accordi commerciali, questo sistema di pagamento diverrà una realtà anche da noi.

 Watch e iPhone

Apple iPhone 6 e Watch

Simili ma diversi. Due interfacce grafiche a confronto

L’ Watch funziona solo con: iPhone 6, iPhone 6 Plus, iPhone 5s, iPhone 5 e iPhone 5c. Grazie all’integrazione con questi, l’ Watch può far ascoltare la playlist dell’iPhone, registrare i passi compiuti, la distanza percorsa; il tutto utilizzando il GPS e il Wi-fi dell’iPhone.

Può scattare foto dalla fotocamera dell’iPhone fungendo da mirino, o fissando un tempo per l’autoscatto.

Consente di dettare messaggi attraverso il microfono integrato oppure di scriverne uno attraverso i suggerimenti impostati dal sistema. Infatti, pare che l’ Watch sia abbastanza intelligente da riconoscere quanto scritto in un messaggio ricevuto e impostare delle risposte opportune.

MODELLI PER TUTTI I GUSTI

Centinaia di modelli

Centinaia di modelli

L’Apple Watch è disponibile in tre diversi modelli e molteplici colori:

Watch: cassa in lucido acciaio inossidabile nei colori naturale (inox) o nero siderale; display in cristallo di zaffiro;

Sport: cassa in leggerissimo alluminio anodizzato nei color argento o grigio siderale; display Ion-X (lo stesso in dotazione con gli iPhone 6 e iPhone 6 Plus) il che nel complesso rende l’orologio più duro ed anche il 30% più leggero;

Edition, cassa in oro 18 carati nei colori oro giallo o rosa, display in vetro zaffiro, molto più elegante, ma anche più pesante.

 Watch è disponibile in due diverse dimensioni, 38mm (altezza) adatto per chi ha il polso piccolo, e 42mm per i polsi maschili, più grandi.

Comodo inserimento del cinturino

Comodo inserimento del cinturino a slide

Sono già disponibili 16 cinturini, 5 in fluoroelastomero, 8 in pelle e 3 in metallo che si agganciano e sganciano all’orologio facilmente, facendoli scorrere lungo un binario, senza quindi dover far ricorso ad attrezzi specifici.

PREZZI E DATA DI VENDITA

Gli analisti non hanno dubbi.  Watch sarà un successo planetario con una vendita stimata di oltre 15 milioni di pezzi, quando la concorrenza interinale 2014 ha venduto poco più di 4 milioni di unità. La disponibilità sarà a partire dal mese di aprile, ma non per l’Italia, dove bisognerà attendere un po’ di più.

La versione Sport, Siver e Space grey, costerà 349 dollari per il modello da 38 mm e 399 per quello da 42 mm. Il modello in acciaio inox costerà da 599 a 1099 dollari per il modello da 42 mm e da 549 a 1049 per quelli da 38 mm. E poi c’è la Apple Watch Edition che costerà “solo” 10.000 dollari.

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Mar 072015
 

Un’icona newyorkese raccontata come sempre con passione dai miei alunni. Un articolo scritto qualche anno fa ma sempre attuale e interessante. Per un corso PON, gli allievi della 3E hanno sviluppato diversi argomenti e trattato diverse opere architettoniche. In questo caso uno dei primi edifici a sviluppo verticale della metropoli americana. Scopritelo anche voi con me leggendo questo interessantissimo e approfondito scritto. Buona lettura a tutti.

FLATIRON BUILDING

Flatiron 02Il Fuller Building, meglio noto come Flatiron Building (Ferro da stiro), è stato uno dei più alti grattacieli di New York sin dal suo completamento nel 1902. Situato a Manhattan, l’edificio fu progettato dall’architetto di Chicago, Daniel Burnham in stile Beaux-Arts su un lotto triangolare compreso tra la 23a strada, la 5th Avenue e Broadway guardando su Madison Square. La caratteristica pianta triangolare e l’altezza (87 metri su cui sono distribuiti 22 piani), furono i fattori più immediatamente in contrasto con lo scenario di una cittadina ai primissimi anni del Novecento.

Al momento della sua ultimazione, nel 1902, l’edificio, per le innovazioni tecniche presentate rispetto alle cognizioni di oltre 100 anni fa, divenne subito il simbolo dell’ambizione di New York ad essere la prima città a sviluppo verticale ed il cuore dell’economia moderna. La sua inaugurazione era destinata a suscitare stupore per più ordini di fattori. Innanzitutto la caratteristica pianta triangolare, la quale costituì un’originale soluzione stilistica dell’architetto ad una difficoltà specifica del lotto in cui doveva sorgere il palazzo: l’intersezione ad angolo acuto della 5th Avenue con Broadway che ha, infatti, la particolarità d’essere l’unica strada che percorre Manhattan in diagonale, creando in tal modo dei lotti di terreno dalla forma triangolare nel punto in cui quest’importante arteria incrocia la griglia di strade ad angolo retto della parte superiore di Manhattan. La ditta di costruzioni Fuller Construction & Co. diede incarico al famoso architetto Daniel Burnham di realizzare un edificio per uffici, che avrebbe dovuto chiamarsi “Fuller Building”. Nell’originale soluzione stilistica adottata da Burnham non rientra solo la pianta triangolare. Gli angoli arrotondati dell’edificio furono da lui realizzati con lo scopo di dare, da alcune prospettive, l’illusione di osservare una colonna nel cuore di Manhattan. Burnham disegnò appositamente la forma degli angoli e divise i 22 piani della struttura in 3 sezioni distinte proprio come in una colonna della Grecia classica, comprendente base, corpo centrale e parte terminale.

Flatiron 01

Tra gli elementi della costruzione dell’edificio che suscitarono meraviglia e popolarità, figura anche l’altezza fino a cui fu eretto l’edificio, una dimensione record per il tempo, resa possibile dall’adozione di un telaio interamente in acciaio e l’utilizzo dei primi ascensori elettrici.

Senza questa componente tecnologicamente innovativa, il Flatiron non avrebbe potuto erigersi fino ad altezze proibitive per qualunque altro edificio dell’epoca. Il record dell’altezza venne presto soppiantato mentre ancora oggi con 180 cm di larghezza all’angolo della 5th Avenue, il Flatiron può essere considerato il grattacielo più stretto al mondo. A parte le considerazioni ingegneristiche ed architettoniche di successo, il Flatiron costituì un fallimento per gli obiettivi della Fuller Construction & Co, che desiderava trasformare la zona in un nuovo centro pulsante per gli affari della città. Una sorta di nuova Wall Street che, di fatto, non si realizzò mai.

Planimetria Piano tipo

Planimetria Piano tipo

Recentemente (nel 2006), il Flatiron è stato acquistato dall’immobiliare italiana Sorgente Sgr, attraverso una società ad hoc, la Michelangelo Flatiron Building Investment Llc, controllata dalla Michelangelo Properties. Non è ancora dato sapere né l’uso al quale sarà destinato lo storico edificio di New York, né le sembianze che assumerà dopo l’annunciato restauro. In ogni caso, gli eventuali progetti di ristrutturazione, a cominciare dall’ipotesi di conversione ad uso abitativo, dovranno aspettare dieci anni, vale a dire, la scadenza dei contratti di affitto (quasi tutto il palazzo è occupato da circa 40 anni dalla casa editrice tedesca Holtzbrinck Publisher). La gestione resterà intanto affidata alla famiglia Gurral, da cui l’edificio è stato rilevato. Segreto anche il costo dell’investimento. Il prezzo pagato dal gruppo italiano per il Flatiron è ancora un segreto. Si sa solo che la valutazione dell’edificio era di 6.000 dollari a metro quadro, in tutto 120 milioni di dollari, cioè poco più di 90 milioni di euro, ma presumibilmente la cifra sborsata è stata inferiore.

CURIOSITA’

I grandi edifici determinano sempre un’accentuamento delle correnti d’aria e fa sorridere il pensiero che dopo il completamento del Flatiron nacque un modo di dire tra i NewYorkesi: “23 skiddoo” dovuto al fatto che molte persone si accalcavano all’altezza della 23rd street non tanto per ammirare il nuovo grattacielo, ma perché le correnti d’aria generate dalla struttura sollevavano le lunghe vesti delle donne dell’epoca costringendo periodicamente i poliziotti a far sgombrare gli uomini (to skidoo) che affollavano l’angolo.

Reliance

Reliance Building

Incaricato dalla società committente di progettare un edificio all’angolo tra le due suddette strade di Manhattan, era al tempo un professionista noto per aver progettato il Reliance Building di Chicago. I newyorkesi furono subito attratti dall’edificio tanto da scommettere quanto a lungo sarebbe riuscito a resistere alle forti raffiche di vento che soffiano dove sorge. Il nome Flatiron fu coniato proprio dai cittadini della Grande Mela a causa della forma del palazzo che ricorda molto quella di un ferro da stiro (in inglese Iron). La punta dell’edificio è larga solamente 2 metri (6.5 piedi) e si estende per 87 metri (285 piedi) in altezza, divisi su 22 piani. Il Fuller Building restò l’edificio più alto di New York City fino alla costruzione del Park Row Building.

Attualmente il Flatiron Building è quasi un passaggio obbligatorio per i numerosi turisti della metropoli di New York che affollano anche i negozi di souvenirs e libri inerenti l’edificio, che attualmente ospita diversi uffici tra cui quello del National Historic Landmark. L’area limitrofa all’edificio viene chiamata Flatiron District in chiaro riferimento all’edificio.

L’edificio è stato il primo grattacielo autonomo fornito di un sistema antincendio e dotato di una centrale termica per la produzione di energia il cui vapore residuo viene utilizzato per riscaldare gli ambienti interni e per alimentare l’originale meccanismo di funzionamento dell’ascensore.

Dal punto di vista stilistico, il suo è un sontuoso cocktail di motivi rinascimentali e gotici: una soluzione tipica del periodo in cui le famiglie più ricche della città si sentivano un po’ come i mecenati del passato e commissionavano edifici ad architetti che attingevano anche dai vecchi stili. Nell’intento perseguito da Burnham (come già detto) che l’edificio ricordasse una colonna, il Flatiron, oltre agli angoli dalla forma appositamente arrotondata, presenta una struttura che divide i 22 piani in tre sezioni distinte proprio come in una colonna della Grecia classica:

  • una base al livello della strada in cui tra la pietra calcarea trovano spazio le ampie finestre che contribuiscono a dare un’immagine leggera e al tempo stesso solida dei piedi dell’edificio;
  • un corpo centrale composto da 14 piani in cui la pietra calcarea si alterna ai pannelli di terracotta, come a formare un enorme arazzo;
  • la parte terminale costituita da due piani con aperture ad arco che s’incastrano tra le colonne. Il tutto è sormontato dallo splendido ed elaboratissimo cornicione che chiude il profilo del grattacielo.

Ultima, ma non per questo meno importante, innovazione strutturale del Flatiron fu l’adozione di un telaio interamente in acciaio (soluzione già applicata in diverse costruzioni della fine del secolo precedente): elemento fondamentale che gli consentì di erigersi fino ad altezze proibitive per qualunque altro edificio dell’epoca, sfidando la perplessità dei cittadini che temevano potesse crollare.

DANIEL BURNHAM (1846-1912)

BurnhamDaniel Burnham cresce e studia a Chicago. Dopo la laurea frequenta lo studio dell’architetto con William Le Baron Jenney, il “padre del grattacielo” aderendo alla “scuola di Chicago”. Burnham si impone all’attenzione già nel 1894 con la costruzione di uno dei primi grattacieli (14 piani) il Reliance Building di Chicago realizzato con struttura in acciaio, facciata in terracotta e ascensori a vapore. Successivamente sovrintende la progettazione e realizzazione nel 1893 della Esposizione Mondiale Colombiana. Tale notorietà gli varrà numerose commesse fra cui l’incarico del Flatiron. In seguito Burnham si guadagna una reputazione molto più vasta come urbanista. Nel 1909, Burnham e il suo collaboratore Edward H. Bennett (progettista del ponte di Michigan Avenue) redigono il Piano di Chicago, considerato il primo esempio nazionale di documento di pianificazione generale. Burnham lavora anche ad altri piani di città, a Cleveland, San Francisco, Washington, D.C., Manila e altre.

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Alunno/i autore/i dell’articolo:
A. BARBAGALLO-D. DE CARLO-G. MUSCATO-A. PUDARUTH-T. ZOLA
Classe e Anno: Argomento di Riferimento:
Terza E – 2007/08 ARCHITETTURA
Mar 052015
 

Ancora un articolo interessantissimo di Alessandro, scritto per Storia, ma adattissimo alla pubblicazione sul nostro sito nella categoria Costruzioni. Ancora una volta traspare la passione, l’amore e l’interesse verso gli argomenti trattati e studiati a scuola, una passione che non si esaurisce nel semplice studio, ma si sviluppa nella ricerca e nell’approfondimento, raggiungendo risultati ragguardevoli. Buona lettura a tutti.

LA STATUA DELLA LIBERTA’

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La Statua della Libertà (Statue of Liberty) è un monumento simbolo di New York e degli interi Stati Uniti d’America. Svetta all’entrata del porto sul fiume Hudson al centro della baia di Manhattan, sulla rocciosa Liberty Island. Il nome dell’opera è La Libertà che illumina il mondo (Liberty Enligtening the World in inglese, La Liberté éclairant le monde in francese).

Fu progettata dal francese Frédéric Auguste Bartholdi; è costituita da una struttura reticolare interna in acciaio rivestita da 300 fogli di rame sagomati e rivettati insieme, che poggia su un basamento granitico grigio-rosa che si è a lungo pensato fosse di provenienza sarda, benché recenti ricerche abbiano smentito la provenienza della roccia dall’isola della Maddalena e l’abbiano ricondotta alla cava di Stony Creecy nel Connecticut.

Con i suoi 93 metri d’altezza, che dominano l’intera baia di New York, essa risulta perfettamente visibile fino a 40 chilometri di distanza. Raffigura una donna che indossa una lunga toga e sorregge fieramente in una mano una fiaccola (simbolo del fuoco eterno della libertà), mentre nell’altra tiene un libro recante la data del giorno dell’Indipendenza americana (4 luglio 1776); ai piedi vi sono delle catene spezzate (simbolo della liberazione dal potere del sovrano dispotico) e in testa vi è una corona, le cui sette punte rappresentano i sette mari o i sette continenti.

La statua è ispirata da un altro monumento, la “Dea Romana della Libertà”.

Bartholdi si interessò al progetto, mentre l’architetto francese Eugène Viollet-le-Duc, progettò per la statua un sostegno in mattoni, al quale il rivestimento sarebbe stato ancorato. Tuttavia Le Duc morì subito dopo senza lasciare istruzioni su come connettere sostegno e rivestimento. La realizzazione del sostegno venne quindi affidata a Gustave Eiffel (il creatore dell’omonima torre), che abbandonò l’idea della struttura in mattoni, optando per una a capriate in ferro.

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Eiffel decise di non utilizzare una struttura rigida, che avrebbe indotto tensioni nel rivestimento conducendo la statua infine al collasso. Per consentire alla statua piccoli movimenti sotto i venti del porto di New York e la dilatazione metallica nelle calde estati, egli collegò la struttura di sostegno al rivestimento in modo non rigido, usando un’armatura, una struttura metallica che consisteva in una mescolanza di nastri metallici, note come selle, che vennero rivettate al rivestimento, fornendogli un buon sostegno. Con un procedimento d’intenso lavoro manuale, ogni sella doveva essere formata individualmente. Per prevenire la corrosione galvanica dovuta al contatto di metalli diversi, Eiffel isolò il rivestimento con amianto impregnato di gommalacca. Il cambiamento nella struttura del materiale dalla muratura al metallo permise a Bartholdi di modificare i suoi piani per l’assemblaggio della statua: egli pensava inizialmente di installare in loco il rivestimento non appena la struttura in mattoni fosse stata pronta, decise quindi di far costruire la Statua in Francia, smontarla successivamente per il trasporto e riassemblarla negli Stati Uniti a Bedloe’s Island (oggi Liberty Island).

Il progetto di Eiffel rese la statua uno dei primi esempi di costruzione a facciata continua nella quale la struttura non è autoportante ma è sostenuta da un’altra che sta all’interno. Egli incluse due scale a chiocciola interne per rendere più facile l’accesso ai visitatori che potevano così recarsi sul punto di osservazione nella corona. L’accesso invece alla piattaforma che circondava la torcia venne sì previsto, ma lo spazio limitato intorno al braccio consentì la costruzione di una sola scala lunga 12 metri.

Man mano che la struttura cresceva, Eiffel e Bartholdi coordinavano il loro lavoro accuratamente in modo che i segmenti del rivestimento si adattassero perfettamente alla struttura di sostegno.

La statua fu donata dai francesi agli Stati Uniti d’America, racchiusa in 1883 casse trasportate a New York per mezzo di una piccola nave (che dovette effettuare numerosi viaggi) e ivi assemblata, in segno di amicizia tra i due popoli e in commemorazione della dichiarazione d’Indipendenza di un secolo prima (1776). La statua venne trasportata via mare naturalmente senza basamento. In mancanza di fondi per costruire quest’ultimo (oltre un milione di dollari dell’epoca), il New York Times lanciò una sottoscrizione pubblica. La gente rispose prontamente e la somma necessaria all’inizio del lavori fu depositata in pochi giorni.

La prima pietra della statua della Libertà viene posata su Bedloe’s Island, a New York il 5 agosto 1884, fu completata entro il 1885 e inaugurata il 28 ottobre 1886, dieci anni dopo la ricorrenza per la quale era stata progettata. Nel 1886, durante l’inaugurazione, furono distribuite alcune miniature della statua, fabbricate dalla società francese Gaget, Gauthier & Co. il volto della statua ebbe come modello quello della madre di Bartholdi.

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Vecchia torcia

L’accesso al pubblico al balcone che circonda la torcia è stato chiuso per ragioni di sicurezza nel 1916. Nel 1984 la statua venne chiusa al pubblico per due anni e ristrutturata in occasione del 100 anniversario e la sua torcia originale, ormai vecchia e corrosa venne sostituita da una nuova placcata in oro a 24 carati, in seguito la vecchia torcia venne anch’essa restaurata ed esposta nell’entrata principale del basamento. La cerimonia di riapertura della statua fu il 4 luglio 1986 (giorno ricorrente alle celebrazioni dell’Indipendenza americana) e in tale occasione vi fu la presenza dell’allora Presidente degli Stati Uniti d’America, Ronald Reagan. A seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, la statua e Liberty Island sono state immediatamente chiuse al pubblico. L’isola e l’accesso al basamento sono stati riaperti solo agli inizi di dicembre 2001 in occasione del periodo prenatalizio, mentre l’accesso al piedistallo e alla corona della statua sono rimasti chiusi. Il piedistallo venne riaperto ufficialmente il 3 agosto del 2004, su diretta approvazione dell’amministrazione di George W. Bush. Il 17 maggio 2009, il presidente Barack ha annunciato che come “dono speciale” per l’America, la statua sarebbe stata riaperta al pubblico a partire dal 4 luglio (giorno di indipendenza americana), ma che solo un numero limitato di persone sarebbe potuto salire fino alla corona ogni giorno, prenotando con largo anticipo il proprio biglietto.

Nel 1984, la Statua della Libertà fu dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità da parte dell’UNESCO.

I PROGETTISTI

Bartholdi

Frédéric Auguste Bartholdi (Colmar, 1834 – Parigi, 1904) scultore e pittore francese nacque a Colmar, una piccola città dell’Alsazia vicina al confine tedesco, da una famiglia agiata che in seguito si trasferì a Parigi per meglio amministrare le proprietà.

Le tristi vicende della terra di origine – ceduta all’impero germanico da Napoleone III – stimolarono nello scultore un particolare interesse al tema della libertà.

Al ritorno da un viaggio in Egitto (1856), colpito dalle sculture colossali che quella civiltà scomparsa era riuscita ad erigere, Bartholdi progettò di costruire una statua-faro (ispirandosi al leggendario Colosso di Rodi), a Suez, dove un canale artificiale progettato da ingegneri francesi stava per unire il Mediterraneo al Mar Rosso; purtroppo il suo progetto restò incompiuto.

Incaricato di ideare la Statua della Libertà, Bartholdi ne realizzò il modello modificando la sua idea per Suez e scegliendo per il pegno di amicizia franco-americano le fattezze di una dea greco-romana. Nel 1871 lo scultore si recò in America per individuare il luogo adatto ad accogliere l’opera: scelse la piccola isola di Bedloe. Tornato in Francia, diede inizio alla costruzione del colosso; per raccogliere i fondi necessari al trasporto dell’opera, fu esposta la gigantesca testa della Statua all’Esposizione Universale di Parigi del 1878.

EiffelGustave Eiffel fu colui che progettò e realizzò due delle maggiori meraviglie del mondo simboli imperituri della democrazia e della libertà. Stiamo parlando rispettivamente della torre Eiffel e della Statua della Libertà. Nato a Digione il 15 dicembre 1832 iniziò la sua attività lavorando dapprima con diverse imprese di costruzione e in un secondo tempo in proprio, come ingegnere consulente.

Verso la metà del secolo cominciò a occuparsi di costruzioni in ferro, in relazione ai problemi suscitati dalla costruzione delle nuove ferrovie. Dal 1858 diresse i cantieri della compagnia di Bordeaux e costruì il viadotto sulla Garonna a Levallois-Perret. Nel 1867 costruì una propria azienda per la costruzione di laminati in acciaio diventando presto un tecnico di fama internazionale nell’impiego di questo materiale.

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Alunno/i autore/i dell’articolo:
ALESSANDRO MARCELLINO
Classe e Anno: Argomento di Riferimento:
Terza D – 2014/15 ARCHITETTURA