prof. Davide Betto

laurea in Architettura conseguita presso la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria; dottorato di ricerca conseguito presso la Facoltà di Napoli in Metodi di Valutazione. Si è abilitato all'insegnamento nella classe di concorso "A033 - Educazione Tecnica nella scuola media" nel 2004 e dal 2007 è diventato docente di ruolo. Insegna a Catania presso la scuola secondaria di primo grado Dante Alighieri. Appassionato di informatica che, insegna nelle classi 2.0 e 3.0, webmaster per diletto e utilizzatore avanzato di programmi C.A.D., grafica e video produzione. Autore di questo blog e vincitore del premio internazionale come miglior sito dell'anno 2016 nell'area Carriera e Formazione. Autore per casa editrice Lattes Editori di Torino per la quale cura il blog iLTECHNOlogico.it e le pubblicazioni di tecnologia.

Feb 052019
 

I sistemi di riconoscimento biometrici, sono dei sistemi informatici oramai molto sviluppati che consentono di riconoscere con assoluta precisione una persona rispetto, invece, alla semplice analisi fatta dall’occhio umano. Per fare un esempio, alcuni smartphone, già oggi, riconoscono il proprietario semplicemente avvicinando il volto al terminale oppure poggiando il dito sullo schermo per riconoscere la conformazione della sua impronta digitale. In pratica ognuno di noi è unico non tanto perché ha un taglio di capelli, la barba, un colore degli occhi e una precisa altezza, ma perché ha altri caratteri molto più difficili da sostituire o modificare come, ad esempio, la distanza tra gli occhi, i dettagli dell’iride, i tratti somatici o la conformazione stessa del viso. In pratica attraverso il riconoscimento biometrico è quasi impossibile essere ingannati perché i parametri che vengono misurati, ho presi in considerazione, non possono essere falsificati con la stessa facilità con cui cambiamo il colore dei capelli o la montatura degli occhiali. In pratica, il sistema biometrico non si affida a parametri consueti come il colore degli occhi facilmente modificabile con delle semplici lenti a contatto o un taglio o colore di capelli, bensì misura dettagli minuscoli ma che tracciano una mappa impossibile da modificare come ad esempio il disegno dell’iride umano.

Qual è lo scopo di tutto ciò? Una prima applicazione potrebbe essere quella di sostituire il passaporto, ossia il documento con il quale viaggiamo per recarci fuori dalla nostra nazione, semplicemente con il nostro viso. Non sarà più necessario portare documenti ma semplicemente farsi scannerizzare il volto per avere certezza di essere noi stessi ed essere riconosciuti da un database che fornirà tutte le informazioni necessarie. Si tratta di un cambiamento epocale che, però, ha visto il 45% delle persone disposta a farsi conoscere attraverso le caratteristiche biometriche, proprio per motivi di sicurezza così come afferma l’International Air Transport Association (IATA) l’ente di sicurezza per il trasporto aereo.

Molti però sono i critici riguardo questa innovazione: il sistema è hackerabile? Quali sono i rischi per la privacy? L’argomento è al centro di ampi dibattiti, ma l’innovazione spingere in questa direzione. Oramai molti campi sono legati alla riconoscimento biometrico per migliorare la precisione e la qualità di alcune funzioni anche se questo porta con sé qualche svantaggio come la possibile perdita di posti di lavoro.

Ma la sicurezza e l’impedire a qualcuno la possibilità commettersi crimini camuffandosi o utilizzando documenti falsi, diventerà soltanto un ricordo da film d’epoca. Siamo di fronte a un cambiamento epocale? Tutti documenti verranno sostituiti dal riconoscimento biometrico? Per ora questo sembra impossibile ma nel giro di pochi anni le tecnologie e la necessità di sicurezza sicuramente spingeranno in questa direzione.

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Feb 042019
 

I nuovi materiali, soprattutto quelli compositi, stanno aprendo strade mai esplorate in tantissimi ambiti soprattutto quello spaziale. Arriva infatti, dalla NASA dei laboratori JPL l’ultimo ritrovato in fatto di nuovi materiali. Si tratta di una sorta di rete composta da tanti pezzettini di metallo lucido uniti tra di loro a formare un tessuto unico quasi come la vestizione protettiva dei cavalieri medievali.

Il materiale è stato realizzato a costi relativamente bassi grazie alla stampa 3D. Ogni singolo elemento può, infatti, essere stampato separatamente e assemblato nella configurazione definitiva. Il fatto di essere composto da tanti elementi separati ma uniti in una rete unica gli conferisce grande flessibilità e lo rende adatto ad essere utilizzato per elementi non rigidi ma capaci di adattarsi a scopi diversi, come antenne o vele solari per le navicelle spaziali del futuro. Altra caratteristica interessantissima di questo materiale è che, le due facce sono completamente diverse, una lucida in grado di riflettere il calore e la luce e quindi, utilizzabile come schermatura per proteggere dal surriscaldamento le navi spaziali, l’altra opaca capace di trattenere il calore, da poter essere utilizzata per isolare spazi interni in realtà particolarmente fredde.

Il fatto di essere prodotto con la stampa 3D rende questo materiale adattabile a qualunque tipo di configurazione e impiegabile in 1000 modi diversi anzi, secondo Polit Casillas, l’ingegnere a capo del progetto, questa caratteristica lo renderebbe adatto, in futuro, a stampa direttamente in viaggio nello spazio o riciclabile quando non più utile. Inoltre la versatilità di questo materiale composto da tantissimi pezzi, renderebbe le parti complessive realizzate, molto più sicure e meno costose perché meno soggette a guasti o rotture.

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Gen 302019
 
TRAPEZIO ISOSCELE DATA LA CIRCONFERENZA
Dati RAGGIO DELLA CIRCONFERENZA 8 cm o secondo indicazione del docente
CONSEGNE:
Consegna 1 Esegui la costruzione geometrica
Digit Esegui le consegne in digitale utilizzando il CAD
DIFFICOLTA’ e CLASSE:
Livello Classe
STRUMENTI NECESSARI:
DESCRIZIONE:

Prima di iniziare, pulisci il piano di lavoro e gli strumenti da disegno. Usando un foglio F4 liscio, effettua la sua squadratura secondo lo schema appreso (vedi SQUADRATURA). Utilizzeremo l’area da disegno (quella gialla) per realizzare le consegne.

FIGURA DI RIFERIMENTO:

PROCEDURA OPERATIVA

posizionando il foglio in orizzontale (ossia con il lato lungo verso di noi), procediamo nel seguente modo:

STEP #01 – tracciamo l’asse orizzontale r e quello verticale s che si intersecano in un punto O; puntiamo il compasso in O e con apertura data, tracciamo la circonferenza che interseca la retta r nei punti A e B e la retta s nei punti C e D;

STEP #02 – puntiamo adesso il compasso nel punto A e con apertura a piacere, ma sufficientemente grande, tracciamo un archetto che interseca la circonferenza in un punto E;

STEP #03 – con la stessa apertura, puntiamo adesso il compasso in B e tracciamo un altro archetto che intersecherà la circonferenza in un punto che chiameremo F;

STEP #04 – con un righello uniamo i punti E ed F. Questo segmento rappresenta la base minore del trapezio isoscele;

STEP #05 – allo stesso modo uniamo i punti A e B. Questo segmento rappresenta la base maggiore del trapezio isoscele;

STEP #06 – sempre con il righello uniamo adesso i punti A ed E;

STEP #07 – infine, allo stesso modo, uniamo i punti B con F.

Ricordo che le linee colorate di rosso sono quelle che vanno rinforzate nel disegno.

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Gen 272019
 

Abbiamo visto gli alberi luminescenti, l’energia solare tratta dalle piante, l’elettricità dal rabarbaro, ma la scoperta fatta da un gruppo di ricercatori italiani potrebbe rivoluzionare tra qualche anno il modo con il quale produciamo energia.

Descritta sulla rivista internazionale Advanced Functional Materials, la scoperta evidenzia come alcune piante ibride, siano capaci di accendere lampadine a LED. Queste piante sono state sviluppate nel Centro di Micro-Bio Robotica, dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Pontedera in provincia di Pisa. In pratica, in queste piante un piccolissimo movimento provocato dal vento o da altra causa, fa si che le foglie diventino dei veri e propri generatori di corrente. Ogni foglia è così in grado di generare un’energia pari a 150 Volt, sufficiente ad accendere oltre 100 lampadine LED contemporaneamente.

La scoperta è eccezionale, non solo perché si tratta di un sistema in cui elementi naturali, come le piante, collaborano con l’uomo per generare elettricità, ma perché questa nuova fonte di energia è assolutamente green, compatibile con l’ambiente.

In questo studio, i ricercatori sono riusciti a riprodurre i meccanismi secondo cui queste piante riescono a produrre elettricità convertendo l’energia cinetica provocata sulla loro superficie da fonti esterne quali il vento. Non è ancora chiaro quale sia il meccanismo per cui questo fenomeno sia possibile, ma la sua scoperta ha consentito ai ricercatori di riprodurlo.

Una volta messe in movimento, le foglie raccolgono l’elettricità sulla loro superficie in un processo che è stato chiamato elettrificazione a contatto, attraverso il quale queste cariche elettriche vengono trasmesse dalla superficie delle foglie all’interno di queste quasi come attraverso un cavo elettrico virtuale che trasmette l’elettricità attraverso tutto il corpo della pianta.

L’elettricità prodotta, viene poi raccolta attraverso una sorta di presa elettrica collegata al suo stelo e immessa su un impianto luminoso.

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Gen 162019
 

Era il 2004 quando due ricercatori, Andre Geim e Konstantin Novoselov, scoprirono quasi per caso un materiale che può definirsi senza ombra di dubbio il “materiale delle meraviglie“: il grafene. L’incredibile scoperta di cui ancora non si son ben definiti i limiti, è valsa dopo soli 6 anni, il premio Nobel per la Fisica ai due ricercatori.

Andre Geim e Konstantin Novoselov

Dotato di proprietà straordinarie che, hanno consentito di rivedere molte delle caratteristiche fisiche e chimiche conosciute, elencare le proprietà del grafene è quasi impossibile.

Partiamo dal fatto che è il materiale più sottile al mondo. Ha una struttura piana fatta di un reticolo dello spessore di un solo atomo, quando si pensava che non potessero esistere materiali con struttura atomica di questo spessore. Pensate che per ottenere un solo millimetro di questo materiale, bisognerebbe sovrapporne ben 3 milioni di strati.

Grazie al suo incredibile spessore, gli elettroni si spostano su una superficie, anziché su un volume. In questo modo, nel loro percorso non dovendo passare all’interno del materiale, scorrono come in un fiume, non scontrandosi con altre particelle che, come negli altri materiali conduttori tradizionali, li rallenterebbero e per attrito trasformerebbero parte della loro elettricità in calore da dover poi dissipare. Questo lo rende un conduttore elettrico eccezionale, 250 volte migliore del silicio e contemporaneamente non svilupperebbe calore al passaggio della corrente.

Una delle prime applicazioni del grafene in campo energetico è stata una lampada LED molto più potente, efficiente e durevole di qualsiasi altro tipo di illuminazione.

Ha una incredibile elasticità che permette di allungarlo fino al 120% della sua lunghezza, ma nonostante ciò è più duro del diamante. Questo ha consentito agli scienziati di creare una sorta di spugna da utilizzare in campo edile, decine di volte più resistente dell’acciaio.

E’ trasparente e la distanza dei suoi atomi è talmente ridotta da risultare impenetrabile da qualunque sostanza, compresi i più piccoli atomi, ossia quelli dell’elio. Questa proprietà lo rende perfetto per realizzare filtri in grado di separare l’acqua da qualunque altra sostanza rendendola assolutamente pura, oppure filtrando totalmente il sale dell’acqua marina trasformandola in acqua dolce.

Filtro al grafene

Grazie al grafene sono state realizzate nuove lampade a LED molto più efficienti, durevoli e potenti di qualunque altro tipo di illuminazione ad un costo decisamente ridotto.

Lampade LED in grafene già in commercio

Ma gli obiettivi sono molto più ambiziosi; proprio in virtù della sua struttura molecolare impenetrabile, il grafene potrà essere utilizzato per scomporre le molecole d’acqua così da ottenere l’idrogeno puro, già definito il carburante del prossimo futuro.

Il grafene potrà essere utilizzato anche per la creazione di pannelli fotovoltaici di nuova generazione. Una pellicola di grafene, spruzzata su un pannello, sostituirebbe il platino utilizzato adesso, abbattendo i costi di ben 10 mila volte e soprattutto nei pannelli al grafene, ogni singolo fotone ecciterebbe ben 2 elettroni, creando un effetto a cascata capace di creare una conversione della luce in elettricità di gran lunga superiore. Senza dimenticare che il grafene è pressoché trasparente, per cui uno strato di questo materiale sui vetri delle finestre consentirebbe di produrre tanta elettricità lasciando passare la luce.

E questo è solo l’inizio. Per capire esattamente a cosa siamo di fronte servirà del tempo, ma è indicativa una frase pronunciata durante un’intervista ad uno dei due scopritori, Andre Geim, quando gli chiesero a cosa potesse servire il grafene. Egli rispose: “Non lo so. È come presentare un pezzo di plastica a un uomo di un secolo fa e chiedergli cosa ci si può fare. Un po’ di tutto, penso“.

La rivoluzione, insomma, è appena iniziata.

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Gen 082019
 

La dislessia, è un disturbo che inficia la capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente. Come ho già scritto nella nostra sezione specifica B.E.S & D.S.A., questo non dipende da deficit cognitivi o problemi neurologici. Ha origini neurobiologiche.

Per facilitare i bambini nello svolgimento di queste attività, sono necessari testi chiari e semplificati. E’ previsto un aggiornamento della normativa in tal senso e l’iter parlamentare è già iniziato. Ma quali sono le indicazioni che la scienza fornisce in merito ai testi per uso scolastico per alunni dislessici? Non credo sia necessario un dizionario denso di indicazioni e non credo neanche che sarò ripreso da qualche esperto grafologo se do’ qui alcune semplici indicazioni che potranno aiutare tutti durante la nostra attività quotidiana di docenti.

Per comprendere cosa significa vivere con la dislessia, il designer inglese Dan Britton, ha realizzato un carattere tipografico che cerca di imitare quello che vedono i dislessici davanti a un testo scritto. Britton ha eliminato il 40 per cento di ogni lettera, compresi alcuni elementi chiave. Il font non mostra realmente cosa vede un dislessico, ma rende più difficile la lettura a chiunque in modo da potersi immedesimare nelle sue problematiche.

Font di Dan Britton

Sulla base di tutto ciò, per realizzare un testo più semplice da decodificare, bisogna partire innanzitutto dal font, ossia dal carattere da utilizzare. Esiste una vera e propria cultura che riguarda le migliaia di fonts sviluppati in questi anni. Si dividono essenzialmente in due categorie, serif e sans serif, ossia con grazie e senza. Le grazie non sono altro che quei prolungamenti ai margini del carattere per renderlo, appunto, più elegante, più aggraziato.

Evidentemente, per rendere un testo più leggibile è decisamente meglio scegliere caratteri sans serif perché hanno un aspetto più lineare e più semplice da decifrare. Ad esempio, Verdana, Arial, Helvetica e Comic Sans.

L’esempio qui sopra, mostra la differenza di leggibilità di un testo al cambiare del font utilizzato. Nel primo caso massima leggibilità utilizzando un font bastone (sans serif), nel secondo caso una media leggibilità in quanto il font presenta i prolungamenti delle grazie, nel terzo caso grande difficoltà di lettura per un font che personalizza le lettere. Ovviamente da evitare assolutamente font in corsivo o handwriting, cioè quelli che simulano la scrittura a mano libera come nell’esempio qui sotto.

La dimensione minima non può scendere al di sotto dei 12-14 punti che sono ideali per una lettura corretta da parte di tutti. Inoltre, il distanziamento tra le righe, chiamato interlinea, non deve essere inferiore ai 1,5 – 2,0 righe. Inoltre, meglio non scrivere frasi molto lunghe ma ridurle a non più di 60-70 caratteri con paragrafi brevi che spezzano la narrazione.

Meglio mettere in evidenza le parole chiave del discorso, sottolineate o in grassetto, quasi a creare un mappa concettuale dell’argomento.

Meglio l’allineamento a sinistra del testo e la suddivisione in elenchi puntati o numerati evitando concetti troppo lunghi.

La carta da utilizzare deve essere opaca ed è meglio non stampare font chiari su supporti scuri. Il colore ideale della carta è bianco crema con peso del supporto non inferiore a 80-90 grammi, ossia un medio cartoncino.

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Gen 072019
 

Ancora una volta Elon Musk, il patron di Tesla Motors e Space X fa parlare di se per la sua vocazione innovativa e per l’attenzione all’ambiente. Non si è ben compreso se il progetto sia frutto di una battuta o invece un’idea già in corso d’opera; solo il tempo lo potrà testimoniare. Ma di cosa si tratta? Forte dell’esperienza maturata in Tesla, Musk in una intervista ha lanciato la proposta di realizzare biciclette elettriche, visto che sono sempre più in uso negli Stati Uniti.

Ovviamente le bici di Musk dovranno essere innovative per le dotazioni e accattivanti per il design. Non esiste ancora un disegno e neppure uno schizzo in giro delle bici di Musk, però Kendall Toerner, un industrial design, ha provato a sviluppare un’idea della e-bike made in Tesla. Ne è venuto fuori un veicolo molto interessante: manubrio a T, display sul telaio, ben due motori nascosti nelle ruote, snella e leggera ma soprattutto ripiegabile. Toerner ha chiamato questo prototipo Model B parafrasando i modelli auto, dove questa volta “B” sta ad indicare Bike, ossia bici.

L’idea potrebbe essere veritiera perché questo è il momento storico ideale per avviare una produzione del genere. Grande diffusione negli States, nessun produttore in America, importazioni costose a causa dei dazi imposti dall’amministrazione americana, Know-how già pronto per la produzione di un simile mezzo.

Vedremo se questo si concretizzerà, perché la visione di Musk, non è tanto quella di produrre un mezzo di trasporto per quanto innovativo, bensì quella di creare una rivoluzione nel sistema dei trasporti, un qualcosa che cambi il futuro dell’industria e sia in grado di avviare trasformazioni epocali.

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Gen 062019
 

Si è appena concluso il 2018, anno impegnativo ma ricco di novità, di attività e di grandi proposte. Per questo sito è stato un anno di conferma e affermazione. Siete sempre di più quelli che mi seguite ed è importante che condivida con voi alcuni numeri che attestano questi risultati. Penaste, abbiamo superato i 2.700 utenti unici in una giornata (2.734 il 13 novembre) e oltre 15.000 in una sola settimana (quella dall’11 al 17 novembre). Sono quasi 700 gli articoli scritti e centinaia se non migliaia i contenuti presenti su queste pagine. Disegni, tutorial, mappe concettuali, video, corsi, lezioni digitali, alcuni dei settori in cui spazia la didattica presente sulle pagine, ma sempre con un occhio attento agli studenti e agli insegnati. Un linguaggio semplice, scritto da chi vive ogni giorno la scuola verificandone le difficoltà e le problematiche.

Anno Nuovo, Tecnologia Nuova. Ebbene si, partiamo con il botto inaugurando questo 2019 con grandi novità e due aree nuove di zecca.

DISEGNANDO è la nuova area a disposizione dei docenti dove poter trovare contenuti per il disegno tecnico. Modelli, solidi e esercizi proposti attraverso semplici combinazioni di figure geometriche solide da utilizzare per sviluppare disegni in proiezioni ortogonali, assonometrie e prospettive.

Nel quotidiano uso delle pagine già costruite per il disegno tecnico, mi sono accorto della mancanza di un contenitore capace di fornire spunti e materiale per sviluppare disegni al di fuori delle spiegazioni o come eserciziario per poter assegnare elaborati grafici agli studenti da sviluppare a casa come approfondimento di quanto appreso a scuola. La sezione ne contiene alcuni, ma pian piano diventeranno sempre di più e differenziati per tipologia.

Anche in questo caso un linguaggio grafico semplice e assolutamente chiaro. Colori differenziati per piani paralleli e figure semitrasparenti per rendere semplice e intuitiva la combinazione dei solidi da disegnare.

Quante volte avremmo voluto far vedere un documentario di innovazione o di semplice approfondimento in classe e non disponevamo del materiale o non avevamo il tempo di cercarlo in rete. E’ capitato anche a me, e fatto salva la necessità di una rete scolastica decente, non dovrete più preoccuparvi di questo. DOCU-TECH fa proprio al caso vostro. Decine di grandi documentari, selezionati dal sottoscritto da vedere direttamente dai canali YouTube per approfondire questo o quell’altro argomento. Ovviamente non ci sono tutti, ma vi prometto che man mano che troverò argomenti idonei agli argomenti disciplinari, li inserirò. Anzi se qualcuno volesse farne inserire qualcuno e conoscesse l’indirizzo web, può semplicemente contattarmi o inviarmi l’indirizzo. Prometto che dopo un’attenta verifica pubblicherò il link.

Vi invito fin da adesso a scoprire queste nuove pagine e se vorrete a farmi pervenire il vostro feedback o semplicemente le vostre impressioni.

Non mi resta che lasciarvi in compagnia di Educazionetecnica, del sottoscritto e della restante parte dell’anno scolastico che, auguro serena, proficua e perché no, divertente a tutti voi.

BUON ANNO 2019 dal prof. DAVIDE BETTO e buona TECNOLOGIA a tutti.

Dic 222018
 

Che gli pneumatici inquinano, si sa. Polveri sottili, sostanze sintetiche ottenute dagli idrocarburi, difficile smaltimento degli scarti. Moltissime sono le soluzioni ecologiche che si stanno sperimentando a questo problema, soluzioni di cui anche noi, sulle nostre pagine, abbiamo dato ampio risalto. L’ultima in ordine di tempo arriva dal Salone dell’auto di Ginevra ed è stata presentata dal noto produttore di pneumatici americano Goodyear.

E’ stato ribattezzato Oxygene, e il nome non è casuale. Il progetto mira a ripulire l’aria e l’ambiente in cui viviamo da smog e polveri sottili che minacciano la nostra salute. Come? Il trucco sta nel fianco dello pneumatico, dove cresce muschio vivo capace di assorbire l’umidità e l’acqua presenti nell’atmosfera e sulla superficie stradale. Questa, entrando in circolo nella spalla dello pneumatico attiva un processo di fotosintesi come quello che normalmente avviene in natura facendo si che venga prodotto ossigeno.

Per comprendere la portata di questo miracolo della scienza, in una città come Parigi, ad esempio, girano circa 2 milioni e mezzo di veicoli producendo una quantità enorme di CO2. Facendo riferimento a questo dato, Oxygene riuscirebbe ad assorbire annualmente, per nutrire il muschio, circa 4.000 tonnellate di CO2 e a rilasciare circa 3.000 tonnellate di ossigeno.

Ma i benefici di questa innovazione non terminano qui. Infatti la pulizia dell’aria da sola non risolverebbe i problemi dei nostri centri urbani. L’altro problema sarebbe il riciclo di tutti gli pneumatici altamente inquinanti. Con Oxygene anche questo sarebbe risolto. La sua produzione, infatti, nasce da un processo di stampa 3D che utilizza polverino di gomma proveniente da altri pneumatici riciclati, quindi a impatto zero e secondo le procedure dell’economia circolare.

Oxygene è poi uno pneumatico smart, dotato di sensori e tecnologie all’avanguardia. Durante la fotosintesi, accumula energia che serve ad alimentare l’elettronica integrata. Sensori disposti lungo la sua superficie forniscono energia al sistema di intelligenza artificiale e alla striscia di LED lungo il fianco capaci di cambiare colore in virtù delle manovre che si stanno compiendo, quasi come gli indicatori di direzione (frecce) avvisando gli utenti della strada delle manovre imminenti, come cambio di direzione, frenata, cambio di carreggiata.

Uno pneumatico per il futuro, capace di poter contribuire anch’esso al miglioramento delle condizioni di vita nei centri urbani e come detto dall’Amministratore Delegato di Goodyear “Oxygene intende sfidare il nostro modo di pensare lo pneumatico e contribuire ad alimentare il dibattito sulla mobilità del futuro intelligente, sicura e sostenibile”.

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Dic 212018
 

Un semplice lavoro in classe, un abaco con cui scoprire le tipologie della carta, ed ecco che la scintilla è scattata. Edoardo, come i suoi compagni, ha svolto il proprio lavoro in digitale da presentare alla classe. Una ricerca ricca, approfondita, ma con un elemento in più; la scoperta e la trattazione di qualcosa di poco noto, una pregiata carta di origine giapponese. L’argomento mi ha subito sorpreso ed entusiasmato al punto di aver proposto all’alunno di approfondirlo. Come spesso capita i risultati sono superiori alle aspettative e lascio a voi il giudizio. Tutta farina del suo sacco, il sottoscritto ha solo curato l’aspetto grafico di questo articolo. Bravo Edoardo e buona lettura a tutti. Prof. Betto


Washi和紙 deriva dalle parole wa=giapponese shi=carta ed è una carta tradizionale fabbricata a mano utilizzando le fibre interne di alcune piante. Dal novembre 2014, l’arte giapponese della lavorazione della carta è stata inserita dall’UNESCO tra i Patrimoni orali e immateriali dell’umanità.

La carta artigianale washi, nasce dalla lavorazione del cosiddetto “gelso della carta” (kozo) ed è un materiale di estrema raffinatezza, utilizzato per oltre mille e trecento anni come supporto per gli scritti buddhisti, per l’ikebana (l’arte della disposizione dei fiori recisi), per gli origami (arte giapponese di piegare la carta), per lo shodo (arte giapponese della calligrafia), per l’ukiyo-e (stampa artistica giapponese su carta impressa con matrici di legno), per decorare lanterne, paralumi, kimono, paraventi.

Pur essendo nota come “carta di riso”, la washi non si produce con il riso bensì con le fibre di alcune piante tipiche giapponesi: il Kozo, la Mitsumata e la Gampi. Secondo la cultura giapponese, la prima pianta rappresenta l’elemento maschile con fibre robuste, la seconda quello femminile delicato e morbido e la terza quello nobile, ricco e longevo.

KOZO MITSUMATA GAMPI

Per produrla, si possono usare anche fibre di bamboo, canapa, riso e frumento, ma queste conferiscono caratteristiche differenti al prodotto finale.

LE ORIGINI

La leggenda racconta che, sia stato un monaco buddhista coreano a introdurre la washi in Giappone, attorno al 610. Rimase però a lungo destinata solamente alle classi più agiate. Nel corso dei secoli, la lavorazione della carta divenne la specializzazione di molte località del Giappone ed oggi ne esistono migliaia di varietà di grande raffinatezza.

La carta giapponese è stata usata fin dall’antichità all’interno delle abitazioni per la sua capacità di far filtrare la luce, attenuandone l’intensità e donando così allo spazio un’illuminazione soffusa. Per questo motivo viene ancora oggi impiegata per realizzare le famose Chouchin, le lanterne usate per rituali, per cerimonie, per decorazioni (come insegne nei negozi o appese fuori davanti un’abitazione con il nome della famiglia).

Nel periodo della dinastia Heian (794-1185), gli artigiani raggiunsero uno straordinario grado di maestria nella fabbricazione della carta e produssero varietà di washi di altissima qualità. Le tecniche di fabbricazione si raffinarono sempre di più e la pasta della carta fu arricchita con petali, erbe, foglie, polveri d’oro e d’argento, fu aggiunto dell’incenso che preservava la carta dall’attacco degli insetti.

Presso la corte imperiale le carte pregiate venivano utilizzate nello scambio di poesie waka (brevi componimenti poetici). Nelle successive epoche Kamakura (1185-1333) e Muromachi (1333-1568), la produzione di washi si intensificò, restando comunque caratteristica delle comunità contadine, che vi si dedicavano nei lunghi mesi invernali. Servono, infatti, acqua fredda e pura e basse temperature per ammorbidire la corteccia di kōzo, di mitsumata e dei più rari vegetali grezzi come il gampi.

Esistono molti tipi di washima i più comuni sono tre:

  • Ganpishi (雁皮紙), maggiormente utilizzato per la creazione di oggetti di artigianato o per libri, ha una superficie liscia e lucida.
  • Kozogami (楮紙), la più diffusa, simile alla tela.
  • Mitsumatagami (三椏紙), anticamente utilizzata per la stampa della carta moneta.

LA DECORAZIONE

La decorazione delle carte washi avviene attraverso diverse tecniche:

  • con stampe intagliate a mano in legno (xilografia). La xilografia giapponese è una tecnica di incisione artistica unica al mondo. E’ una tecnica non tossica perché per la creazione delle immagini vengono usati legni naturali, colori ad acqua e carta fatta a mano.
  • con stencil che vengono ripetutamente spostati per ripetere il motivo (katazome).
  • con serigrafia attraverso teli di seta (chiyogamiusando colla di amido di riso per bloccare colori mentre si applica il disegno (yuzen).

Questi metodi di colorazione e disegno della carta sono simili a quelli usati per i tessili.

LA LAVORAZIONE

La lavorazione artigianale di questa raffinata carta è praticata oggi in tre comunità del Giappone: nel quartiere di Misumi della città di Hamada, Prefettura di Shimane; nella città di Mino, Prefettura di Gifu; nel villaggio di Higashi-Chichibu e nella città di Ogawa, Prefettura di Saitama. Si tratta di carta lavorata a mano, di buona consistenza, resistente e anche traslucida.

I giapponesi scoprirono che, le fibre del Kozo una pianta della famiglia del gelso, era particolarmente adatta per creare una carta sottile ma allo stesso tempo resistente. Fu introdotto anche l’uso di un nuovo collante mucillaginoso estratto dal bulbo dalla pianta del Tororo Aoi, capace di distribuire la fibra del Kozo in maniera omogenea nell’acqua, evitandone l’addensamento e dando vita ad una carta levigata e robusta.

Le innovazioni della tecnica di produzione riguardano la tecnica del nakashizuki: facendo uso di un telaio di setaccio era possibile stratificare più volte le fibre, in modo da aumentare la resistenza della carta. Il processo di lavorazione prevede un rituale antico, che si tramanda da generazioni.

La carta viene ottenuta immergendo le fibre del gelso da carta in acqua di fiume e vengono poi addensate e filtrate attraverso uno schermo di bambù.

Nella manifattura della washi le fibre delle piante impiegate sono pestate e tirate, piuttosto che macinate come nella produzione della carta “moderna”; questo procedimento contribuisce alla maggiore resistenza e flessibilità del prodotto finale. Le parti raccolte contenenti le fibre sono battute in acqua di fiume e raccolte in fasci di rafia. Dopo una notte a bagno, la rafia è sottoposta a bollitura e candeggiata naturalmente in acqua sotto il sole o con l’utilizzo di un agente chimico. Le impurità rimanenti sono trattate manualmente. La fibra viene sottoposta ad una ulteriore battitura e poi posta in vasche, dove, con una sorta di pettine viene stesa la mucillagine.

La mucillagine è l’elemento tradizionale per creare i fogli washi con il metodo antico e fa sì che le fibre siano mantenute sospese nella soluzione senza annodarsi tra loro. Quando il foglio bagnato raggiunge lo spessore voluto, lo schermo del tino viene liberato dalla struttura ed i nuovi fogli bagnati rimangono impilati uno sull’altro. Grazie alla mucillagine, i fogli possono essere separati facilmente, poiché nel corso della lavorazione si sono formati sottili film viscosi che li dividono. I fogli singoli vengono, infine, liberati dall’acqua con una pressa ad elica, appoggiati su materiali lisci, secchi e caldi per l’asciugatura.

La lavorazione del washi è un’artedelicata e complessa, ad essa si dedicano ormai solo pochi e anziani artigiani, alcuni dei quali sono nominati “tesori nazionali viventi”, il titolo concesso in Giappone a certi maestri di arti manuali, al fine di preservare le tecniche e le abilità artistiche in pericolo di esser perdute.

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Alunno/i autore/i dell’articolo:
EDOARDO SCIRE’
Classe e Anno: Argomento di Riferimento:
Prima D – 2017/18 CARTA
Dic 182018
 

La PIRAMIDE è una figura geometrica solida avente una base e un vertice.

La base è poligonale, quindi cambia forma a seconda della figura geometrica che la definisce (avremo quindi piramidi triangolari, quadrate, pentagonali, ecc.), mentre il vertice non giace sullo stesso piano della base. Unendo gli spigoli della figura di base con il vertice, si generano altre figure geometriche chiamate facce laterali che nella piramide sono tutte triangoli; quindi, una piramide avrà tante facce laterali quanti sono i lati della figura di base per cui una piramide a base triangolare avrà 4 facce, una di base e 3 in elevazione, mentre una piramide a base quadrata ne avrà 5, una di base e 4 in elevazione e così via.

In geometria, è definita un poliedro limitato da un poligono, detto base, e da tanti triangoli quanti sono i lati del poligono, tutti aventi un vertice in comune, detto vertice o apice della piramide. Si definiscono facce della piramide, la sua base e le facce laterali triangolari che convergono sull’apice.

Si definisce altezza della piramide, la distanza fra il suo vertice e il piano che contiene la base.

Gli spigoli che limitano il poligono di base si chiamano spigoli di base, mentre quelli che delimitano le facce laterali, si chiamano spigoli laterali.

Si definisce superficie laterale di una piramide, l’insieme delle sue facce laterali, e superficie totale l’insieme di queste e la superficie della base.

L’altezza comune a tutte le facce laterali di una piramide retta si chiama apotema della piramide.

Una piramide si dice retta quando nella sua base si può inscrivere una circonferenza il cui centro è il piede dell’altezza della piramide. Una piramide si definisce regolare se è retta e quando la sua base è formata da un poligono regolare.

TRONCO DI PIRAMIDE

Si chiama tronco di piramide, una piramide tagliata da un piano parallelo alla base. La base della piramide e il poligono generato dalla sezione prendono il nome di basi del tronco di piramide; avremo così una base maggiore che coincide con la figura di base della piramide  e una base minore che coincide con il piano di taglio. La distanza tra le due basi è detta altezza del tronco di piramide.

Un tronco di piramide si dice retto o regolare se è stato ottenuto da una piramide retta o regolare.
In un tronco di piramide regolare le facce laterali sono trapezi isosceli congruenti la cui altezza è detta apotema del tronco.

TIPOLOGIE DI PIRAMIDE

Di seguito alcuni esempi di piramidi regolari. Clicca sui links per approfondimenti.

PIRAMIDE TRIANGOLARE o TETRAEDRO
APPROFONDIMENTO
PROIEZIONI ORTOGONALI
ASSONOMETRIE
PROSPETTIVA
FIGURA BASE: TRIANGOLO
PIRAMIDE QUADRATA
APPROFONDIMENTO
PROIEZIONI ORTOGONALI
ASSONOMETRIE
PROSPETTIVA
FIGURA BASE: QUADRATO
PIRAMIDE RETTANGOLARE
APPROFONDIMENTO
PROIEZIONI ORTOGONALI
ASSONOMETRIE
PROSPETTIVA
FIGURA BASE: RETTANGOLO
PIRAMIDE PENTAGONALE
APPROFONDIMENTO
PROIEZIONI ORTOGONALI
ASSONOMETRIE
PROSPETTIVA
FIGURA BASE: PENTAGONO
PIRAMIDE ESAGONALE
APPROFONDIMENTO
PROIEZIONI ORTOGONALI
ASSONOMETRIE
PROSPETTIVA
FIGURA BASE: ESAGONO
PIRAMIDE OTTAGONALE
APPROFONDIMENTO
PROIEZIONI ORTOGONALI
ASSONOMETRIE
PROSPETTIVA
FIGURA BASE: OTTAGONO
PIRAMIDI NELLA STORIA

Il termine piramide deriva dalla parola greca pyramis cioè di una pietanza a base di grano che aveva la forma simile ad una piramide.

Gli esempi più importanti di piramidi nella storia sono sicuramente le costruzioni egizie a Giza nelle loro diverse espressioni e soluzioni, la cui funzione era quella di monumento funerario. Seguono, poi, le piramidi Maya che venivano invece utilizzate come templi religiosi. Soluzione moderna altrettanto famosa la ritroviamo a Parigi nel Louvre, dove una gigantesca piramide di vetro realizza l’ingresso al nuovo museo.

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RINGRAZIAMENTI

Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con la prof.ssa Carmela Milone docente di Matematica, nonché amica e autorevole voce scientifica scolastica.

Dic 122018
 

L’integrazione tra i robot e gli essere umani è sempre stata piuttosto complessa e anche difficile da realizzare, perché frutto di esperienze estemporanee e non di progetti di ampio respiro e a lungo termine. Inoltre, questo, è sempre stato visto, e molte volte a ragion veduta, come un pericolo per gli esseri umani perché capace di sostituirlo nel lavoro e quindi fonte di licenziamenti, riduzione di compenso, declassamento in ruoli meno importanti.

Ma le cose pare stiano cambiando; già la nuova generazione di robot, i cosidetti robot morbidi, sono il primo esempio di questo fenomeno. Ma un progetto italiano sta mirando oltre, alla creazione di un robot capace di cambiare forma, di prodursi energia da solo, realizzato con materiali tecnologicamente avanzati e rispettosi dell’ambiente, intelligente e capace di apprendere. Un robot frutto di un progetto unitario che abbraccia differenti aspetti che comprendono la sperimentazione, la progettazione, la realizzazione, per fare in modo che, questi automi, possano una volta per tutte entrare nella vita quotidiana di ciascuno di noi, nelle case, negli uffici, senza che gli uomini abbiano a temere per la loro presenza.

Il progetto si chiama “ROBOTICS” e partecipa ad una gara indetta dalla Commissione Europea che prevede un finanziamento da 1 miliardo di euro. La selezione dei finalisti avverrà a Vienna il 4 dicembre 2018 e il vincitore sarà individuato nel 2020.

La squadra italiana è composta da 800 esperti in robotica guidati da Cecilia Laschi della Scuola Superiore Sant’Anna e Barbara Mazzolai dell’Istituto Italiano di Tecnologia.

Il progetto non è semplicemente la realizzazione di un robot in grado di fare qualcosa, bensì un programma a lungo termine, strutturato, capace di integrare necessità non solo tecnologiche e scientifiche, ma anche sociali, culturali ed economiche. È importante, quindi, che il robot non entri nel mondo del lavoro sostituendosi all’uomo, bensì che lo integri in lavori complessi o particolarmente stancanti.

Il progetto, dovrà integrare ambiti finora slegati quali l’intelligenza artificiale, i big data, i materiali e la biologia e vari aspetti della vita sociale. Infine, bisognerà creare macchine capaci di adattarsi ad ogni tipo di esigenza, capaci di imparare e di migliorare.

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Dic 102018
 
ROMBO
Dati DIAGONALE MAGGIORE 12cm – DIAGONALE MINORE 8cm
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DESCRIZIONE:

Strumenti da Disegno: foglio F4 liscio gr.220, matita 3H, squadrette, riga, compassonormografo.

Livello: classi seconde.

Difficoltà: bassa.

Descrizione: usando un foglio a quadri dal quadernone, effettuiamo la sua squadratura secondo lo schema appreso (vedi SQUADRATURA). Utilizzeremo l’area da disegno (quella gialla) per realizzare le esercitazioni indicate nelle “consegne“.

PROCEDURA OPERATIVA:

posizionando il foglio in orizzontale (ossia con il lato lungo verso di noi), procediamo nel seguente modo:

  • tracciamo la retta “r” orizzontale che divide in due parti uguali l’area da disegno.

  • tracciamo al suo interno un segmento AB di lunghezza pari alla diagonale minore.

  • puntando il compasso in B, con apertura AB, tracciamo un arco come in figura.

  • facciamo la stessa cosa puntando il compasso in A sempre con apertura AB.

  • tracciamo la retta passante per i punti 1 e 2 intersezione dei due archi precedenti.

  • puntiamo il compasso al centro degli assi e con apertura pari alla diagonale maggiore tracciamo una circonferenza completa che intersecherà l’asse verticale nei punti C e D.

  • uniamo i punti A, B, C e D tracciando così il rombo di diagonali AB e CD.

  • se si vuole si può riempire con una campitura regolare o con un retino adesivo la figura appena disegnata.

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