prof. Davide Betto

laurea in Architettura conseguita presso la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria; dottorato di ricerca conseguito presso la Facoltà di Napoli in Metodi di Valutazione. Si è abilitato all'insegnamento nella classe di concorso "A033 - Educazione Tecnica nella scuola media" nel 2004 e dal 2007 è diventato docente di ruolo. Insegna a Catania presso la scuola secondaria di primo grado Dante Alighieri. Appassionato di informatica che, insegna nelle classi 2.0 e 3.0, webmaster per diletto e utilizzatore avanzato di programmi C.A.D., grafica e video produzione. Autore di questo blog e vincitore del premio internazionale come miglior sito dell'anno 2016 nell'area Carriera e Formazione. Autore per casa editrice Lattes Editori di Torino per la quale cura il blog iLTECHNOlogico.it e le pubblicazioni di tecnologia.

Lug 172013
 

Squito-Throwable-Ball-3

Una società americana, la Serveball, ha presentato Squito e Darkball due fotocamere panoramiche sviluppate e progettate per essere lanciate in aria, in modo da poter catturare immagini e video durante il volo, con la possibilità di effettuare spettacolari riprese estese fino a 360°.

Ovviamente, il corpo della telecamera è avvolto in un guscio resistente agli urti, è Squito è dotata di sensore di orientamento, obiettivi grandangolari di cattura, sensori di posizionamento e di velocità. La fotocamera è in grado di calibrare la rotazione e di ridurne l’eccesso durante il volo e le riprese, adattandosi alle condizioni di lancio e cercando di riprendere al meglio l’area circostante.

squito-1

Le applicazioni attuali di un tale dispositivo, non sono al momento tante, anche se i possibili impieghi in futuro posso essere molteplici. Attualmente, gli impieghi si limitano a poche e estreme condizioni in campo documentaristico e professionale, nonchè quelle del puro divertimento, ma in seguito, grazie anche alla sua evoluzione in Darkball, un’altra videocamera lanciabile, questa volta notturna, dotata di sensori di rilevamento e ricognizione capace di riprese termiche e ad infrarosso. Questa ultima è pensata per un utilizzo al buio, nella nebbia o in condizioni di difficile visibilità.

Come tutti i progetti di questo genere, frutto di ricerca e sperimentazione, questi prototipi non sono in vendita, per cui è inutile recarsi in un negozio per cercare quest’articolo. Il progetto del prof. Steve Holliger è parte di una ricerca molto più estesa e ambiziosa che porterà alla realizzazione di una piattaforma di ripresa più complessa ed evoluta, integrata con altri dispositivi e abbinata ad un software capace di sfruttarne ogni potenzialità. O semplicemente potrebbe diventare il gingillo di qualche video amatore che ha sempre sognato o realizzato riprese particolari e fuori dal comune.

Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito della SERVEBALL di Boston.

Video1

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=VoogLcawabg&w=560&h=420&rel=0]

Articoli1

 

Lug 152013
 

statina2

I ricercatori della Nanyang Technological University di Singapore stanno lavorando ad un sistema in grado di trasformare qualsiasi superficie in uno schermo con capacità touch. Significa, che se questo progetto andrà in porto, nell’immediato futuro, potremo trasformare finestre, muri, tavoli o qualunque altra superficie, in elementi in grado di interagire con un computer e di interpretare i nostri segni e la nostra grafia, senza bisogno di dover realizzare superfici apposite quali le LIM.

Il nome di questo sistema è S.T.A.T.I.N.A. acronimo della parole inglesi (Speech Touch and Acoustic Tangible Interfaces for Next-generation Applications) che, secondo quanto affermato dal professor Andy Khong della N.T.U. è un sistema che usa un approccio differente rispetto a sistemi simili quale quello di INTEL. Infatti, questo ultimo funziona utilizzando una telecamera che monitorizza i tocchi della mano sulla superficie. S.T.A.T.I.N.A., invece, basa la sua capacità interpretativa sulle vibrazioni che le dita o strumenti di pressione esercitano sulle superfici interessate. Un sistema di sensori, registra le vibrazioni generate dalla pressione e trasforma queste onde in segnali interpretati dal software sul computer. Calcolando poi la differenza di tempo impiegato dalle vibrazioni per raggiungere i sensori, il sistema individua la posizione dove il tocco ha avuto luogo. In questo modo i sensori potrebbero lavorare addirittura su un’immagine proiettata al muro.

Installati su qualunque superficie, ad esempio una classica lavagna in ardesia, la trasformano in uno schermo touch. La stessa cosa è possibile su qualunque schermo o monitor di computer, trasformando così anche queste superfici, originariamente non touch, in schermi interattivi e sensibili alla pressione. Questo consentirà notevoli risparmi; basti pensare al costo che una normale LIM ha oggi, nonché tutti i dispositivi touch ad essa abbinati.

Il sistema frutto di un finanziamento di 250.000 $ concessi dalla National Research Foundation è già stato testato su differenti tipi di superfici: legno, alluminio, acciaio, vetro e plastica. Ora si sta lavorando sull’inclusione di webcam per permettere ai sensori di monitorare contemporaneamente tocchi multipli.

Vedremo a quali risultati porterà questa promettente tecnologia. Noi come sempre staremo vigili.

Articoli1

Lug 102013
 

Ogni anno, mese, giorno, casualmente o regolarmente, si possono raccogliere i frutti del lavoro, della passione e dell’impegno profusi nell’insegnamento e nella disciplina. Penso che insegnare significhi trasmettere qualcosa che non siano solo meri contenuti; significa saper instillare il piacere della ricerca, la passione nella scoperta e fornire gli strumenti per raccontare al meglio quanto ottenuto. E di tanto in tanto si raggiungono livelli di completezza e ricchezza come quelli che troverete in questo articolo su un materiale antico ma ancora molto usato e nobile come la carta. Una ricerca narrata con approfondimento e passione da Alessandro Marcellino che, vi esorto a leggere con attenzione e piacere come ho fatto io. Buona lettura.

LA CARTA UN MATERIALE ANTICO

bambuSecondo la tradizione cinese, la carta fu inventata nel 105 d.C. dal marchese Ts’ai Lun. Scoperte archeologiche recenti hanno però dimostrato che già era usata in Cina a partire dal II sec. a. C. Nei tempi più antichi, i Cinesi scrivevano su canne di bambù e su seta. Proprio alla seta si deve la fabbricazione della carta. Non a caso, l’ideogramma cinese che rappresenta la carta, secondo un antico dizionario che risale al 100 d.C., rappresenta proprio un filo di seta intrecciata. In effetti la corteccia del gelso, la pianta sulla quale vivono i bachi da seta, sarà una delle prime materie usate per la fabbricazione della carta in Cina. Non a caso la parte interna della corteccia è chiamata libro. L’antica tecnica orientale di fabbricazione della carta è ancora oggi usata in Nepal. Il procedimento cinese prevede l’uso di componenti tessili mescolati a risorse locali (gelso, canapa, bambù, riso ecc..). La carta alla cinese si diffuse fuori dei confini dell’Impero, e intorno al X secolo d.C. raggiunse l’Asia centrale e l’Indocina; era anche meno costosa della seta. Nel III secolo d.C., grazie alla Corea, la carta si diffonde anche in Giappone. Dal IX secolo la produzione della carta diviene industria nazionale giapponese. E’ materiale così importante che finisce per avere anche un valore monetario. A partire dal XIX secolo i giapponesi chiamano la loro carta washi (che vuol dire “carta giapponese”), per distinguerla da quelle occidentali e cinesi, di composizione diversa. Fin dal VI secolo il Medio Oriente fa uso di carta, che importa dalla Cina e dai paesi dell’Estremo Oriente. Tuttavia il supporto più usato restava la pergamena. Nel 751 i musulmani conquistarono Samarcanda, facendo prigionieri alcuni cinesi fabbricanti di carta, che rivelarono ai conquistatori il segreto della fabbricazione. Proprio Samarcanda divenne il primo grande centro di produzione della carta.

Carta Cina

L’esatta origine della parola carta, almeno per quanto riguarda quella che utilizziamo noi non si sa, anche se potrebbe derivare dalla parola latina charta o da quella greca charassò che significa scolpire, incidere. In lingue come l’inglese la parola carta diventa paper e deriva dal famoso papiro egizio che venne poi sostituito dalla pergamena, fatta da pelli di animali. Giunta nel XII secolo ed importata da Damasco o dall’Africa, la carta non ebbe inizialmente molto successo, tanto che ne fu proibito l’utilizzo in Italia. Essa però continuerà ad essere prodotta fino a quando nascerà la prima industria della carta a Fabriano, città vicino Ancona nelle Marche. Ancora oggi in questa città vengono prodotti quaderni, album e tanti tipi di carte, utilizzati nelle scuole ed in uffici pubblici e privati. Nel corso dei secoli sono state inventate numerose macchine per la sua fabbricazione ed introdotti elementi naturali e non, per rinforzarla e renderla così più robusta.

LE MATERIE PRIME

Fibre-cellulosaLa maggior parte della carta comune di oggi è formata da una certa quantità di cellulosa ed emicellulosa che non sono altro che le fibre del legno, unite attraverso la lignina, una interfibra che tiene unite cellulosa ed emicellulosa. Ovviamente la carta oggi può essere prodotta anche attraverso la carta riciclata, opportunamente raccolta e lavorata. La diversa combinazione delle fibre, lunghe o corte, delignificate o contenenti ancora lignina, fa la differenza  fra i diversi tipi di carte o cartoni che si otterranno. Non va dimenticata comunque l’importanza delle cariche minerali che, pur non concorrendo a conferire resistenza al foglio di carta, ne costituiscono sino al 50% in peso (carte patinate), conferendo alla carta maggior lucentezza, brillantezza e stampabilità.

La distinzione più elementare della cellulosa utilizzata per la produzione della carta è quella già citata sopra ed esattamente:

  1. fibre lunghe, provenienti in massima parte da legni di resinosi (pino, abete, larice);
  2. fibre corte, provenienti da legni di latifoglia (faggio, betulle, eucaliptus, pioppo).

Le sostanze minerali di carica più usate sono invece:

  1. carbonato di calcio, ricavato macinando finissimamente scarti della lavorazione o dell’estrazione del marmo;
  2. caolino, proveniente da cave;
  3. talco, anch’esso di cava.

Le fibre vegetali provengono in massima parte dal legno, anche se possono essere ricavate da piante annuali quali la paglia di grano o di riso, le canne, lo sparto, la canapa, il lino, il kenaf, ecc. L’utilizzo industriale di tali piante è oggi nuovamente alla ribalta ed oggetto di studio e di ricerca nonostante fosse stato praticamente abbandonato per via delle caratteristiche scarsamente “industriali” di estrema stagionalità e per la difficoltà nella depurazione delle acque reflue.

Per produrre paste cartarie si utilizza quasi esclusivamente legname di recupero ed a basso costo, cioè:

  1. scarti di altre produzioni quali segherie, fabbriche di imballaggi o mobili;
  2. tronchi di piccola pezzatura e comunque non utilizzabili per lavorazioni qualitativamente superiori.

Per quanto concerne la parte di legname, quantitativamente meno consistente, che proviene da foresta, occorre considerare che si tratta sempre o dell’utilizzo di sottoprodotti (alberi non adatti alla segagione, cime di piante più grandi, ecc.) oppure proveniente da piantagioni di alberi a rapida crescita (6-8 anni) messi a dimora proprio ad uso industriale. A tale proposito è opportuno ricordare che le importantissime funzioni di scambio e di trasformazione (da anidride carbonica ad ossigeno) svolte dalle foreste giovani in accrescimento non sono nemmeno paragonabili a quelle di una foresta matura che, avendo rallentato il ciclo vitale, ha un rapporto di scambio (anidride carbonica-ossigeno) decisamente più limitato e tendente al pareggio tra l’ossigeno consumato e quello prodotto.

La lignina, essendo il collante naturale che tiene unite le fibre, è la sostanza sulla quale si deve agire per separare le fibre da utilizzare per scopi cartari. Il diverso modo di affrontare industrialmente la lignina e quindi di separare le fibre vegetali dà luogo alla distinzione fra i tipi di fibre cartarie:
  1. cellulose;
  2. paste semichimiche;
  3. paste chemitermomeccaniche o chemimeccaniche;
  4. paste meccaniche.

LE CELLULOSE

Si possono avere cellulose provenienti da conifere (fibra lunga) o da latifoglia (fibra corta). Per produrle, il legno, scortecciato e ridotto in pezzetti (chips) per facilitare l’impregnazione, viene sottoposto ad un attacco di sostanze chimiche:

  1. in ambiente alcalino (idrato di sodio): per ottenere cellulosa al solfato o Kraft (dal tedesco forte) con elevate caratteristiche meccaniche e quindi adatte all’impiego nella fabbricazione degli strati esterni del cartone ondulato, nelle carte da imballo e comunque in tutti i tipi di carta in cui è necessaria una buona resistenza;
  2. in ambiente acido (solfito): per ottenere cellulose dette al solfito. Tale cottura viene fatta con immissione di vapore ad alta temperatura, in modo da sciogliere tutta la lignina per via chimica e liberare così le fibre di cellulosa con un modestissimo lavoro meccanico tramite raffinatori a disco.

La raffinazione è un processo duplice di compressione e di sfregamento cui sono assoggettate le fibre che, così elementarizzate, vengono poi lavate, assortite per eliminare eventuali fasci di fibre incotte od altre impurità e quindi convogliate nelle torri di imbianchimento dove, tramite processo di ossidazione con cloro o più recentemente, con acqua ossigenata (meno inquinante), le fibre sono sbiancate per essere utilizzate in carte bianche. Il liscivio di cottura viene concentrato per recuperare i prodotti chimici in esso disciolti e la lignina che sotto forma di lignin solfonato è utilizzata anche come collante per la produzione di pannelli truciolari. Le acque reflue sono depurate tramite depuratore anaerobico o bruciate per produrre vapore nel caso la lignina non sia stata prima estratta.

La resa in fibra delle cellulose, fatto 100 un kg di legno secco, è del 40-45%. Le caratteristiche cartarie della cellulosa sono ottime dal punto di vista qualitativo, sia come resistenze meccaniche che come grado di purezza e di bianco raggiungibile. Le carte di pura cellulosa sono quasi illimitatamente durevoli nel tempo e, non contenendo lignina, ingialliscono in modo trascurabile.

LE PASTE SEMICHIMICHE, CHEMITERMOMECCANICHE e MECCANICHE

Sono prodotte partendo da chips prevalentemente di latifoglia (faggio e pioppo) ed il ciclo produttivo non si discosta molto da quello descritto per la produzione di cellulosa. La differenza fondamentale sta nel fatto che la lignina e le sostanze incrostanti non vengono completamente sciolte in quanto l’attacco chimico con solfito di sodio (cottura), è solo parziale; la resa, partendo dal kg di legno secco, si aggira sul 60% e la fibra di cellulosa è ancora parzialmente lignificata. Le paste semichimiche hanno caratteristiche qualitative intermedie e non ben definite fra quelle delle cellulose (paste chimiche) e quelle delle paste ad alta resa (paste meccaniche, chemitermomeccaniche e chemimeccaniche), se consideriamo anche gli alti costi di produzione e di depurazione in relazione alla bassa resa capiamo perché si sta gradualmente abbandonando questo metodo produttivo. Le paste semichimiche trovano comunque il loro impiego nella produzione di carta da giornale, da stampa, nel cartone ondulato, ecc.

FABBRICAZIONE DELLA CARTA
Descrivere in poche righe il complesso processo di fabbricazione della carta è impresa impossibile se il tutto non viene generalizzato ed  semplificato. Innanzitutto ogni azione (processo) che genera un risultato o un prodotto si basa su 4 elementi fondamentali:
  • chi la compie;
  • gli strumenti necessari per compierla;
  • gli ingredienti o le sostanze (anche quella grigia) che vengono manipolate;
  • i soldi necessari per procurarsi il tutto.

Ogni processo inoltre, sia esso semplice o complicatissimo, consta di:

  • una fase di studio (ricetta o formulazione del progetto);
  • una fase preparatoria (miscelazione ingredienti o materie prime ed adeguamento e scelta dei mezzi o degli impianti necessari);
  • una fase produttiva;
  • una fase di finitura e di allestimento;
  • la realizzazione finale;
  • i controlli relativi ad ogni fase.

Anche la fabbricazione della carta è riconducibile perciò ad uno schema semplice nelle sue linee generali. La complessità nasce dal numero delle fasi che compongono il processo, dagli impianti, specifici per ogni fase, dalle dimensioni in gioco e dalla necessità di amalgamare correttamente il tutto.

Attualmente il processo di fabbricazione della carta consiste in questi passaggi:

  • Preparazione fibre vegetali (pulping)
  • Sbiancamento delle fibre stesse (bleaching)
  • Formazione foglio con pressatura
  • Trattamenti superficiali diversi
  • Essiccamento carta.

Vediamo ora di approfondire, ma non di molto, la conoscenza di alcuni momenti che caratterizzano il processo.

DAL PASSATO AL PRESENTE

Lavorazione-carta

La produzione pre-industriale

I primi supporti cartacei, in Italia, vedono la luce nella prima metà del XIII secolo ed il lavoro dei primi cartai meglio può assomigliare al lavoro artigianale del cuoco dell’esempio precedente. Gli stracci, materia prima basilare, vengono raccolti, cerniti e lavati prima di essere tagliati e quindi sfilacciati, in acqua, mediante un’azione meccanica di battitura (lavorazione”) nelle “pile a martelli”. Con la sospensione di stracci tagliati, sfilacciati e battuti in acqua, (la pasta”, si riempiono dei “tini” dai quali l’artigiano cartaio riesce a far depositare uno spessore regolare di fibre su di un setaccio a maglie molto fini, (“a forma”, e a prelevarlo quindi, sotto forma di foglio, per compattarlo ed iniziare ad asciugarlo prima pressandolo sotto un torchio e, quindi, appendendolo ad apposite attrezzature (gli asciugatoi), all’aria. Sono tuttora i momenti salienti della produzione della carta. Una importante innovazione nella “lavorazione” degli stracci è costituita dall’impiego della tina “olandese”, che sostituisce le vecchie “pile”. Lo scopo è sempre quello di tagliare e sfilacciare e sfibrillare la pasta di straccio, (e, quando non ci sarà più lo straccio, la cellulosa), ma con una potenzialità maggiore unita ad una maggior governabilità e flessibilità della macchina.

La produzione industriale

I vari momenti della produzione rimangono però separati sino alla nascita della “macchina continua“, che segna l’inizio della fase industriale e permette la formazione ed il distacco “in continuo”, da un forma rotonda, di una benda di carta teoricamente senza soluzione di continuità. Si realizza inoltre, in un’unica e continua fase, il compattamento e la pressatura della benda ed il suo asciugamento. Si riesce così a realizzare in continuo delle bellissime filigrane in chiaro-scuro, che si ripetono sempre nella medesima posizione del foglio (filigrana fissa) e delle carte che simulano i fogli ottenuti con la vecchia “forma” a mano, tanto che la nuova macchina, accanto alle denominazioni “macchina o forma in tondo”, viene chiamata anche “manomacchina”. Nel tempo la forma in tondo lascerà spazio alla “tavola piana”, che permetterà grandi formati e velocità assai elevate, ma non potrà più ripetere e nemmeno imitare le riproduzioni di visi o figure simili a bassorilievi, tanto abituali a chi ha lavorato sulla simpatica e vecchia “tamburella”. Un ulteriore passo avanti nella “continuità” del ciclo produttivo si realizza con l’introduzione dei raffinatori in continuo, che soppiantano la vecchia “olandese” con rendimenti decisamente superiori. Ma se ripercorriamo il lavoro del “prenditore” e del “ponitore”, i vecchi artigiani cartai che producevano un foglio alla volta con la “forma” a mano, e confrontiamo i vari momenti del loro impegno con le attuali fasi produttive ci imbatteremo in uguali percorsi ed uguali esigenze. Vediamo allora di ritrovare, sugli impianti moderni, le fasi che caratterizzavano il lavoro dei primi cartai; servirà per meglio identificare i particolari settori delle attuali linee produttive, settori che andremo ad esaminare più avanti un po’ più in dettaglio.

Produzione carta

Il lavaggio degli stracci non si ritrova logicamente più, ma l’operazione di lavaggio della materia prima è tuttora ben presente nella produzione delle paste chimiche e delle paste di legno. Il legno da introdurre nei bollitori o nelle torri di impregnazione subisce un primo lavaggio, per liberarlo dal terriccio o da altre impurità. Una volta trattato viene passato ai tamburi lavatori per essere ripulito dal liscivio e dai sali che questo ha disciolto.

La cernita è tuttora presente sia come scelta del tipo di essenza fibrosa idonea agli obiettivi del fabbricante di paste e del cartaio, sia come eliminazione di corpi estranei (ferro, sabbia, plastica) e di materiale non idoneo (incotti, grumi, schegge, grossolani). Attraverso il tempo i plotoni di donne, che sceglievano (ed epuravano) gli stracci su delle specie di setacci a maglie grosse, vengono sostituita dal sabbiere e dalle calamite distribuite sul fondo dello stesso ove, per gravità e per l’effetto magnetico, si depositano le parti pesanti come sabbia, pietrisco, scheggette e polvere di ferro, e dal tamburo epuratore-assortitore, generalmente a fessure. Oggi queste parti di macchina vengono sostituite dagli attuali epuratori (cleaners) atti a scartare le parti pesanti, dai moderni assortitori a fori e/o a fessure (screen), che impediscono il passaggio di parti grossolane e costituiscono un’ulteriore salvaguardia per l’incolumità dei corredi di macchina e per la qualità del prodotto, e dai vibrovagli. La porzione d’impianto compresa tra la tina di macchina e la cassa d’afflusso prende il nome di testa macchina. Gli stracci, una volta lavati ed assortiti, subivano un’azione di sbatacchiamento, taglio e sfilacciatura, in presenza di molta acqua, nelle pile a martelli e venivano quindi stoccati in tini, dai quali il maestro cartaio li prelevava per “alimentare” la sua “forma” a mano.

MACCHINA-PIANA

L’operazione di taglio, sfilacciatura e idratazione, fondamentale per l’ottenimento di un foglio resistente ed uniforme, veniva chiamata “lavorazione” ed il termine è tuttora ricorrente, in cartiera, accanto al più usato “raffinazione”. Anche oggi le fibre sospese in acqua vengono sbattute, tagliate, idratate, sfilacciate e trasferite quindi in capaci tine dalle quali, in continuo, vengono prelevate per essere trasformate, dalla macchina continua, in foglio di carta. I maestri cartai, il “prenditore” ed il “ponitore”, disponevano di una tinozza, il “tino”, nella quale disperdevano la quantità di fibra opportuna basandosi sulla loro grande ed abituale esperienza, di un setaccio a maglie fini, “la forma”, di un “torchio” e di uno “stenditoio” al quale appendere ad asciugare i fogli, dopo la pressatura. Il “tino” può essere ora rappresentato dalla “cassa d’afflusso”, ove le fibre sono mantenute in sospensione ben separate tra di loro, ad una densità costante, prima di venire distribuite uniformemente sulla “tavola piana”, l’attuale “forma”.

Le presse, nella parte di macchina successiva alla tavola piana, preasciugano e compattano il foglio in modo simile al vecchio “torchio”, mentre la successione di cilindri essiccatori, riscaldati a vapore, può essere assimilata al vecchio “stenditoio”. Queste brevi note hanno lo scopo di aprire un’ulteriore finestra sui momenti caratteristici del processo produttivo, in modo da rendere meglio comprensibile l’ulteriore approfondimento che andremo ad affrontare. Ricordiamo ancora che questa scheda introduce delle nozioni elementari ed è quindi volutamente semplice, spesso incompleta e carente di informazioni in dettaglio, in quanto vuole solamente soddisfare un’eventuale curiosità di chi quotidianamente utilizza la carta come strumento per comunicare, studiare e diffondere idee, conoscenze e cultura.

SPAPPOLAMENTO E RAFFINAZIONE

Le essenze fibrose previste dalla ricetta d’impasto vengono spappolate in acqua mediante una apposita macchina (Pulper). Le fibre, per effetto dell’acqua, si rilasciano e si ammorbidiscono diventando pompabili. Vengono stoccate in tine, in attesa di subire un trattamento atto a sviluppare quelle caratteristiche di resistenza e macchinabilità già insite nei tipi di essenze scelte (raffinazione). L’impasto raffinato viene quindi dosato assieme ad altri componenti, nelle proporzioni previste dalla ricetta.

Alla base della fabbricazione della carta sta il fenomeno della feltratura: le fibre vegetali ridotte in pasta e sospese in acqua, si saldano fra loro per formare un foglio. Le materie prime un tempo costituite esclusivamente da stracci di canapa, cotone e lino, sono oggi prevalentemente fibre di cellulosa dei vegetali, legni bianchi e teneri (come abete, betulla, pioppo, faggio), paglia, ginestra, canna comune, ecc. Tutte queste materie prime non vengono però sottoposte al medesimo trattamento. La raffinazione sottopone la fibra ad una serie di sbattimenti e compressioni che consentono all’acqua di imbibirne sempre di più le fibrille interne rendendola sempre più plastica; questa aumentata plasticità consente la formazione di un maggior numero di aree di contatto, e quindi di legami, indispensabili per una buona resistenza e formazione del foglio. La raffinazione, se inidonea o troppo spinta, produce anche altri effetti non sempre desiderabili ed opportuni (smodata lacerazione della parete, accorciamento esagerato della fibra, eccessiva idratazione) sulle fibre di cellulosa; la violenza dell’urto delle lame del raffinatore non deve essere tale da devastare la superficie ad ogni colpo e poiché le caratteristiche morfologiche e chimico-fisiche delle fibre sono peculiarità proprie di ogni tipo di essenza (abete, pino silvestre, pino del sud, pino della costa del pacifico, faggio, eucaliptus, ecc.) si intuisce l’opportunità di raffinarle in modo selettivo (raffinazione separata), per non rovinare una fibra lunga che può darci una carta tenace e porosa, ma rendendole plastiche ed in grado di creare, su tutta la loro integra lunghezza, un numero elevato di legami. Se si insiste con la raffinazione per esaltare le caratteristiche meccaniche di resistenza alla trazione, accanto a questa dovremo accettare una minor resistenza alla lacerazione.

All’impasto fibroso raffinato vengono aggiunte sostanze che conferiscono al prodotto finito altre caratteristiche:
  • la colla e l’allume per dare una certa resistenza alla bagnatura o per regolare un assorbimento eccessivo di inchiostro per scrivere, impedendone il trapasso e la sbavatura;
  • le sostanze di carica per conferire alla carta opacità, maggiore levigatura, migliore stampabilità.
PATINATURA

Patinatura

L’idea di coprire la superficie di un foglio di carta con dei pigmenti minerali di ridotte dimensioni particellari per ottenere una miglior brillantezza ed uniformità di stampa, un bianco più elevato, una lisciatura superiore ed una possibilità di “lucidatura” altrimenti irraggiungibile, nasce e trova applicazione in Italia intorno agli anni ’20. È indubbiamente un’idea vincente, con risvolti economici positivi e, all’inizio, non completamente prevedibili, tanto che ai nostri giorni poche sono le cartiere che non adottano questa tecnologia. L’operazione di stendere con uniformità, sulla superficie di un foglio, una miscela di pigmenti (patina) è chiamata ” patinatura”, e “patinatrici” sono dette le macchine che la rendono possibile. È abbastanza intuibile che uno strato di soli pigmenti, una volta asciutti non rimarrebbe attaccato alla superficie del foglio e basterebbe una qualsiasi azione meccanica, uno sfregamento, una piegatura, una stropicciatura, per staccarlo a pezzi o sotto forma di polvere; la carta sarebbe inutilizzabile. Bisogna, in qualche modo, “legare” tra loro i pigmenti e legare questi alla superficie del foglio ricorrendo all’impiego di sostanze idonee allo scopo, i cosiddetti “leganti”. Volendo quindi meglio definire la patina, diremo che questa è una miscela di pigmenti e leganti, avente un contenuto in solidi ben definito e la tinta desiderata, idonea ad essere uniformemente distribuita sulla superficie di un supporto cartaceo. Accontentiamoci di questa definizione che, sotto il generico termine “idonea”, nasconde problemi di reologia e ritenzione in rapporto alla velocità di applicazione ed al tipo e grammatura di supporto. Al giorno d’oggi, nella maggioranza dei casi, quando si parla di pigmenti si intende parlare di carbonato di calcio e di caolino; qualche cartiera, ma non molte, impiega ancora il bianco-satin mentre sta crescendo l’impiego, nelle carte per rotocalco, del talco. Un tempo il pigmento principe era il caolino e l’impiego del bianco-satin era più diffuso, ma erano impiegati anche il solfato di bario (bianco-fisso) e la farinafossile. Il biossido di titanio ha sempre avuto un impiego limitato in applicazioni e tipi di carta particolari. Agli inizi della patinatura il legante classico era la caseina lattica, sposa ideale del bianco-satin con cui dava patine fluide, microporose e con eccezionali resistenze ad umido. L’unione con il caolino era invece estremamente “conflittuale” ed originava degli shock reologici con innalzamenti vertiginosi della viscosità tanto che non era eccezionale il verificarsi del bloccaggio delle pale dell’impastatrice per la tenacità del pastone caolino-caseina che si formava. Un tempo, infatti, si usava preparare la patina partendo dal caolino in polvere ed impastandolo con una soluzione alcalina di cascina in una vera e propria impastatrice, sicché questa somiglianza al mondo dei panettieri e dei pastai, unita al ricettario spesso volutamente misterioso, può essere l’origine del nome “cucina”, dato ancor oggi al reparto ove viene preparata la patina. Ora i leganti principe sono i lattici, soprattutto a base stirene butadiene e/o a base acrilica, seguiti dall’amido e, in misura minore, le proteine vegetali e l’alcool polivinilico. Poiché, quando si parla di patinate, ci si immagina quasi sempre una carta lucida, è interessante sapere che la propensione di una carta patinata a “lucidarsi” è dovuta al tipo di pigmento usato e alle dimensioni delle sue particelle. Tutto ciò che viene aggiunto ai pigmenti nella preparazione della patina, cioè i leganti, i ritentori d’acqua, i livellanti ed i regolatori di flusso riducono il livello di lucido ottenibile. È bene inoltre sapere che un pigmento formato da particelle uniformemente molto fini (ad esempio 95% inferiori a 2 micron e 78-80% inferiori a 1 micron) permette di ottenere lucidi più elevati di quelli ottenibili da un pigmento più grossolano. L’operazione “patinatura” consiste nello spalmare uniformemente sulla superficie del foglio uno strato ben definito di patina; per fare ciò ci si avvale di macchine dette “patinatrici” che, nel tempo, sono andate via via modificandosi pur mantenendo fermi i momenti caratteristici dell’operazione:

  1. l’applicazione, sul foglio, di una quantità esuberante di patina;
  2. la sua uniforme distribuzione su tutta la superficie, eliminando l’eccesso;
  3. il suo asciugamento;
  4. il suo condizionamento ad una ben definita umidità relativa.

La prima patinatrice patinava un solo lato del foglio ed era identificata anche come “patinatrice semplice”. Se si voleva patinare anche l’altro lato si doveva ripassare sulla macchina il foglio monopatinato. Un cilindro, immerso nella patina contenuta nel calamaio, applicava in modo disuniforme una quantità esuberante di patina sul foglio che, subito dopo, aderiva con il lato non patinato, alla superficie di un cilindro di notevole diametro (tamburo patinatore) e porgeva il lato patinato all’operazione di distribuzione uniforme su tutta la superficie, operazione che veniva effettuata da spazzole, lunghe quanto era largo il foglio, montate a due o a tre su dei telai mobili e regolabili, in modo da poter “premere” più o meno sulla superficie patinata. I telai, grazie ad una camme, avevano un doppio movimento e facevano compiere alle spazzole delle specie di ellisse, sicché la patina veniva distribuita con spazzolature di senso alternato. Le spazzole erano rigorosamente di setole di porco, le prime più dure e le successive meno. Tutte erano mobili, tranne le ultime, che dovevano dare la finitura e che dovevano essere morbidissime (i piumini, rigorosamente di pelo di tasso). Dopo le spazzole il nastro di carta entrava nel tunnel e “galleggiava” su di un cuscino di aria calda che asciugava e “bloccava” la patina al punto da non “sporcare” il feltro, praticamente il primo ed unico “punto fisso” tra lo svolgitore e l’avvolgitore. L’asciugamento veniva quindi completato nella cosiddetta “distesa” o “bastoniera”, ove un giro di bastoni sosteneva il foglio, appeso come un festone alto 3 metri, mentre da sotto veniva insuffiata aria calda. Entrare ed aggirarsi tra i festoni (stiamo parlando di percorsi di 20-25 metri per il tunnel e di altrettanti e più per la distesa) dava sempre l’impressione di essere in mezzo a 100 lenzuola stese ad asciugare dopo il bucato.

Nell’ultima parte, prima di venire riavvolta, la carta passava attraverso una specie di sauna ove si riumidificava ad una umidità relativa più consona. Prima dell’arrotolatore i bastoni, attraverso un percorso alternativo, ritornavano nei paraggi del feltro e riprendevano il nastro per riaccompagnarlo nuovamente lungo tutta la distesa. Il passo di poco successivo fu la patinatura contemporanea dei due lati del foglio e, nella patinatrice, il tamburo patinatore lasciò il posto alla fila di spazzole inferiori. E vennero quindi i rullni, che presero il posto delle spazzole e consentivano velocità di produzione più alte, anche se patinare con i rullini dei supporti leggeri non era quasi mai gratificante. E giungiamo quindi ai nostri giorni, ove la fase di patinatura segue il medesimo procedimento, ma val la pena ricordare che in pochi anni lo sviluppo tecnologico ha permesso di passare dai 20-30-40 metri al minuto delle prime patinatrici a spazzole agli 800-1000-1200-1400 metri al minuto delle attuali patinatrici. E sugli impianti pilota si toccano già i 2000 metri.

ALLESTIMENTO

BobbineI clienti, quando ordinano la carta alla cartiera, staccano l’ordine avendo ben presente il lavoro che devono fare e le macchine da stampa che ritengono di utilizzare.

Poiché i clienti sono tanti, i lavori i più disparati, il parco macchine da stampa variato e numericamente assai consistente, si comprende il perché sia difficile semplificare in pochi standard le varie voci (richieste) degli ordini.

Ma alcune standardizzazioni, a livello generale, possono essere fatte:

  • carta in rotolo (per stampa in roto-offset o in rotocalco o simili)
  • carta in formato (per stampa in offset piano)

L’allestimento delle carte in rotolo avviene servendosi di macchine chiamate “bobinatrici”, le quali provvedono a ricavare, partendo dal rotolo a tutta altezza di macchina continua, dei rotoli di altezza inferiore.

PalletNell’allestimento della carta in formato vengono impiegate macchine, le “taglierine”, che consentono di tagliare e raccogliere in fogli di dimensione voluta la carta avvolta in rotolo.
Il taglio trasversale avviene sotto il “coltello” che, in funzione della grammatura della carta, può tagliare contemporaneamente 3, 4, 5, 6 e fino a 12 fogli sovrapposti.

I fogli tagliati vengono raccolti, alla fine della taglierina, su dei pallets (raccoglifoglio) che, accuratamente protetti da un idoneo avvolgimento (polietilene termoretraibile), prenderanno la strada dei magazzini e, quindi, del cliente cui sono destinati.

La carta tagliata in formato può essere venduta impaccata (a 500, a 250, a 100 fogli in funzione della grammatura) su pallet, in pacchi confezionati con un’apposita carta protettiva (generalmente politenata), oppure “sfusa” su pallet (bandierata).

CLASSIFICAZIONE DELLE CARTE

La classificazione delle carte non è semplice visto che, gli usi a cui è destinata, sono molteplici. Esistono diversi tipi di carta. Ecco un elenco parziale:

  • Carta
  • Cartoncino
  • Cartone
  • Cartone
  • Cartone ondulato
  • Carta velina
  • Carta increspata
  • Carta glassine
  • Carta igienica
  • Carta da parati
  • Carta carbone
  • Carta gommata
  • Carta monolucida
  • Carta patinata
  • Carta velina
  • Carta politenata
  • Carta di Amalfi
  • Carta ECF
  • Carta chimica
  • Carta termica
  • Carta da forno
  • Carta siliconata
  • Carta da lucido
  • Chine-collé
  • Carta da zucchero

I prodotti cartari si possono però suddividere in 6 grandi categorie:

  1. carta da stampa che vengono usate generalmente per giornali e guide telefoniche, per stampa in offset che siano essi depliant, volumi pubblicitari, per rotocalco, per roto-offset e anche per carte speciali (carte geografiche, carta moneta e per assegni);
  2. carta da scrivere e per ufficiosotto questa voce generalmente possiamo trovare lacarta per buste, carta per quaderni, carta per disegno, carta per fotocopie, carta per fax, carta da diazotipia, carta carbone e autocopiante;
  3. carte da imballaggio (possiamo racchiudere qui generalmente la carta kraft, crespata e per sacchetti, carta per alimenti, carta pergamena vegetale, carta uso pergamena, carta pergamino, carte catramate, siliconate, accoppiate con plastica);
  4. cartoni e cartoncini (cartoni a un getto, cartoni a più strati, cartoni ondulati, carta da onda, cartoni pressati,cartonlegno);
  5. articoli igienico-sanitari (carta igienica, fazzoletti, tovaglioli e tovaglie, asciugamani, carte per uso medico);
  6. carta per uso industriale e varie carte per cavi elettrici e condensatori, carta per laminato plastico, carta per sigarette, carta per fotografia, carta da filtro, carta adesiva, carta decorativa, carta da parati.
LE CARTE PER USO GRAFICO

Difetto sotto il fiore macchia della cartaTra i vari tipi di carte e cartoni una posizione di assoluto rilievo la occupano le carte grafiche, cioè quelle carte destinate a diventare supporto per la stampa.

Fanno parte di questa categoria le carte usate per produrre quotidiani, settimanali, periodici in genere, libri, pieghevoli, biglietti, carte e buste intestate, calendari e per realizzare tanti altri prodotti stampati. Ognuno di essi ha specifiche richieste: economicità, minimo spessore, giusto rapporto tra peso e volume, resistenza all’uso, alla luce, al tempo, rigidità, finitura superficiale colore.

Le carte da stampa si possono classificare a seconda del procedimento di stampa al quale sono destinate:

  • offset;
  • rotocalco;
  • flessografia;
  • serigrafia.

Le carte destinate alla stampa dovranno inoltre essere adatte alle lavorazioni di post-stampa dette anche di confezione quali:

  • il taglio;
  • la piegatura;
  • la cordonatura;
  • la cucitura;
  • l’incollaggio.

Stampare significa trasferire, mediante pressione, l’inchiostro dalla forma da stampa inchiostrata al supporto. Stampare bene significa trasferire l’inchiostro sul foglio senza deformazioni e alterazioni del segno in modo da ottenere un’impronta nitida, secca e dell’intensità prevista. Perché ciò avvenga è necessario che mediante la pressione di stampa si riesca ad ottenere un perfetto contatto tra la superficie inchiostrata e il supporto di stampa. Tenendo conto che la carta normalmente ha un basso coefficiente di comprimibilità, si tende a produrre la carta da stampa con il più alto grado di liscio possibile e ciò, appunto, per facilitare il contatto e quindi il trasferimento.

Carte da stampa che per esigenze estetiche debbano presentare la superficie ruvida o addirittura marcata o goffrata non potranno essere stampate in rotocalco e in generale nei sistemi a stampa diretta. Saranno invece stampabili con i procedimenti offset e roto-offset. I procedimenti offset sono detti a stampa indiretta in quanto la carta non preleva direttamente l’inchiostro dalla forma da stampa inchiostrata, ma lo riceve da un elemento intermedio costituito da una superficie di gomma di opportuna durezza ed elasticità che si adatterà alla superficie del supporto rendendo così possibile un buon trasferimento anche su superfici a basso grado di liscio.

È noto che la stampa di soggetti a colori si ottiene in passaggi successivi depositando sul foglio, ogni volta, uno dei tre colori primari più il nero. Ciò avviene in macchine costruttivamente molto precise che garantiscono, anche alle attuali elevate velocità di esercizio (15.000 fogli/ora per le macchine a foglio e 50.000 giri-macchina per le rotative), una perfetta sovrapposizione delle immagini monocromatiche costituenti il soggetto finale.

A questo scopo è molto importante anche il contenuto igrometrico della carta. La carta lascia la cartiera con un ben preciso contenuto d’acqua in modo che durante il processo di stampa non abbia né a perdere né ad aumentare il contenuto di umidità garantendo così il massimo della stabilità dimensionale.

La carta da stampa avrà quindi caratteristiche:

  • funzionali al prodotto da ottenere;
  • ottico-estetiche;
  • di stampabilità;
  • di macchinabilità sia durante la fase di stampa che di allestimento.

Tutte le carte possono inoltre subire un trattamento finale di lisciatura o di calandratura. La calandratura aumenta il grado di liscio e conferisce un’elevata lucidità.

PROPRIETA’ MECCANICHE
Proprietà della carta

La carta ha un’ottima resistenza alla trazione (1), finché la superfice sollecitata non viene torta o deformata. Una striscia di carta larga un centimetro, caricata a pura trazione regge alcuni kg (alcune decine di Newton). Con prove semplici, il punto di rottura è di solito ad uno degli attacchi, perchè qui la carta pizzicata si deforma e si piega.Caricata di taglio (2) mostra ancora una buona resistenza, purchè le sue fibre si mantengano parallele alla forza di carico.

Caricata a flessione (3 e 4) la carta non dimostra grosse proprietà, ma se lo sbalzo è corto e la superfice discreta (campione corto (2 – 3 cm) e piuttosto largo (1 – 2 cm)), allora la resistenza può essere sufficiente allo scopo. Per strisce con rapporto lunghezza su larghezza superiore a 5 o 6 la resistenza a flessione è quasi nulla e non sostiene neppure il peso del campione (a meno di pezzi molto piccoli). Sbalzi oltre i 10 cm non reggono neppure a larghezze notevoli. Se comunque la superfice viene anche solo leggermente curvata (5) in senso trasversale e mantenuta curva, la resistenza cresce subito di molto. Lo stesso effetto di irrobustimento si ottiene con una sagoma trasversale ad “L” (6) dove la paretina verticale introduce la necessaria resistenza.

Il disegno (7) mostra una striscia con sezione a “V” caricata di costa. La resistenza cresce di molto, ma solo se la sezione è mantenuta ad apertura costante. Come mostra il disegno (8), in questo caso la sezione tende ad allargarsi all’estremo non vincolato e questo provoca una piega sulle fiancate che ne distrugge la resistenza e la striscia cede sotto un carico alquanto modesto. Un metodo per contrastare questo cedimento è (9) quello di dotare i bordi della striscia di aletta il più possibile perpendicolare alle superfici laterali della “V”, che a sua volta dovrà risultare piuttosto stretta. In questo modo si ottiene una buona resistenza. A proposito delle pieghe si può dire che quelle nette aiutano a mantenere le fibre della carta parallele quando il carico è di taglio sul bordo di una faccia e parallelo alle piege, mentre distruggono la resistenza in senso obliquo o perpendicolare, per carichi diretti sulla giacitura della faccia. Le pieghe irregolari o riprese sono sempre deboli e quasi sempre dannose.

IL RICICLO DELLA CARTA

Riciclo-carta

Da alcuni anni si parla molto di carta riciclata. Il motivo di questo interesse è legato sia all’aspetto ecologico che a quello economico. Infatti l’uso delle materie seconde (maceri) limita il ricorso alle materie prime vergini e contemporaneamente riduce la quantità di materiali destinati alle discariche con abbattimento dei costi di smaltimento. Forniamo alcuni dati statistici per meglio conoscere il problema e l’importanza della raccolta differenziata del macero prima che confluisca nei rifiuti:

  • ogni anno vengono avviate alla discarica in Italia oltre 1.000.000 di tonnellate di quotidiani e periodici e circa 100.000 tonnellate di stampati la cui raccolta fornirebbe altrettanta materia prima di qualità alle cartiere italiane. Il tasso di raccolta italiano è in assoluto il più basso in Europa (28% contro 58% in Germania). Poiché i materiali cellulosici rappresentano tra il 25 ed il 30% dei rifiuti solidi urbani e tale quota è crescente, le amministrazioni locali sostengono un onere elevatissimo – a carico della collettività – per avviare in discarica tale materiale;
  • per produrre circa 6,8 milioni di tonnellate di carta all’anno – di cui 2,8 di carte per uso grafico – l’industria cartaria italiana consuma circa 3,3 milioni di tonnellate di carta da macero, di cui circa 800.000 tonnellate di giornalame misto. Oltre 200.000 di queste sono importate, proprio a causa del modesto livello di raccolta interna, con la conseguenza di un più elevato costo del macero utilizzato e di una minore competitività dell’industria cartaria italiana rispetto alla concorrenza internazionale;
  • in totale un milione di tonnellate di macero è importato nel nostro Paese per produrre carta, mentre oltre 4 milioni di tonnellate di carta e cartone vanno in discarica pur essendo recuperabili. Alla raccolta delle famiglie si aggiunge quella effettuata direttamente dalle industrie o tramite raccoglitori specializzati nei centri stampa.

Le fasi del processo produttivo delle carte riciclate sono simili a quelle di altre per le quali vengono impiegate materie prime vergini, fatta eccezione per la parte iniziale della preparazione dell’impasto. In questa fase è fondamentale togliere dai maceri i materiali estranei, chiamati contaminanti, come plastica, vetro, ferro, colle, paraffina, ecc. la cui presenza crea problemi alla produzione e condiziona la qualità. La pasta dopo la spappolatura passa attraverso una serie di epuratori studiati appositamente per carte da macero. Il procedimento avviene in più fasi in modo da togliere inizialmente le parti più grossolane e via via le più piccole. Più il sistema di epurazione è sofisticato e più la qualità del prodotto finito si avvicina a quello di fibra vergine. Una epurazione accurata è necessaria soprattutto per le carte riciclate da stampa per le quali le esigenze sono maggiori di quelle per altri usi. Una volta terminato il processo di epurazione la pasta viene immessa sulla tavola piana della macchina continua e prodotta con la stessa tecnica delle altre carte. Per produrre carte con un sufficiente grado di bianco, partendo da materie prime meno costose, si ricorre alla disinchiostrazione, con la quale è possibile togliere l’inchiostro presente nei maceri. L’Italia, povera di risorse forestali, ha sviluppato molto la tecnica per l’impiego delle carte da macero nel settore dell’imballaggio e vanta una notevole esperienza e tradizione. Solo da alcuni anni si producono carte riciclate anche per il settore grafico. L’evoluzione tecnologica e il cambiamento di mentalità dei consumatori hanno favorito lo sviluppo di queste ultime e pur essendo ancora agli inizi i risultati ottenuti sono positivi. Infatti le qualità che si producono sono veramente valide e per alcuni usi possono essere utilizzate in sostituzione di quelle di fibra vergine. La produzione di carta riciclata non inquina purché le cartiere abbiano attrezzature adeguate per il trattamento sia delle carte da macero che delle acque di scarico e dei residui di lavorazione. Importante sottolineare, a conferma della ecocompatibilità della produzione delle carte riciclate, che i residui di lavorazione (fanghi) possono essere riutilizzati in più settori: industria laterizi, lavori stradali come sottofondi, per emendanti agricoli. Per concludere, in un mondo di “usa e getta” la filosofia di “usa e riusa” trova spazio anche nell’industria della carta e con risultati positivi perché permette la valorizzazione di materiali e prodotti alternativi.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
  • Enciclopedia Treccani;
  • Enciclopedia di Scienza e Tecnologia gruppo editoriale Fabbri;
  • //fc.retecivica.milano.it/rcmweb/GiovanniXXIIICusanoM/lavori_alunni/carta/fabbricazione.htm;
  • //www.ipst.gatech.edu/amp/collection/index.htm Museum of Papermaking;
  • //artgraph.clisson.free.fr/html/papier.htm.
PUOI LEGGERE ANCHE:
ANCHE NOI SCRITTORI
Alunno/i autore/i dell’articolo:
ALESSANDRO MARCELLINO
Classe e Anno: Argomento di Riferimento:
Prima D – 2012/13 CARTA
Lug 062013
 

DVD01Il DVD agli steroidi pare che da oggi esista. Infatti, in Australia alcuni esperti in microfotonica dell’Università di Swinburne  hanno sviluppato una tecnica con la quale è possibile memorizzare su di un normale DVD da 4.7GB la strepitosa quantità di 1.000 terabybe (1 petabyte), l’equivalente dello spazio necessario per memorizzare 10.6 anni continui di video ad alta definizione o 50.000 film completi ad alta definizione.

La cosa strabiliante è che gli scienziati per realizzare questa meraviglia hanno utilizzato tecnologie già esistenti. Infatti, hanno impiegato supporti per normali DVD e laser di scrittura analogo agli attuali. Una legge della fisica nota come “Limite di Abbe”, esposta dal fisico Ernest Abbe nel 1873 ha stabilito alcuni limiti teorici della natura difrattiva. I ricercatori australiani non hanno infranto quanto stabilito da questa legge, ma hanno semplicemente trovato il modo per aggirare questi limiti. La tecnica classica prevede l’incisione di bit (zero e uno) sul supporto realizzando un percorso che corrisponde ai dati registrati. La tecnica consiste nell’utilizzare il classico laser per la scrittura dei supporti convenzionali e nell’uso di un altro laser a forma di ciambella che limita il raggio di azione del primo fascio; questo ha consentito di ridurre le dimensioni del fascio laser, permettendo di scrivere punti ancora più piccoli, circa un decimillesimo delle dimensioni di un capello umano.

dvd

Non è ancora stabilito se e quando questi prodotti diverranno commerciabili. Questo dipenderà da quanto i dati così memorizzati saranno affidabili nel tempo e l’effettiva resistenza dei supporti in varie condizioni.

Articoli1

Giu 242013
 

È passato solo un soffio di tempo e noi siamo cresciuti incredibilmente. Non mi aspettavo un risultato del genere. Il mese scorso abbiamo festeggiato i 1000 iscritti alle nostre pagine e debbo tornare a ringraziare tutti, ma proprio tutti voi, utenti di EDUCAZIONETECNICA.COM per l’affetto, la passione e la fiducia che mi avete accordato. EBBENE SI, SIAMO APPENA DIVENTATI:

2000_def

2000 iscritti, 2000 persone che ogni giorno o di tanto in tanto guardano i nostri articoli e li trovano interessanti tanto da iscriversi. Vi assicuro che tutto ciò mi servirà da sprone per migliorare ancora queste pagine al fine di aiutarvi nella vostra attività didattica, scolastica o lavorativa.

Ancora una volta, rinnovo a tutti l’invito a collaborare, a partecipare attivamente affinché queste pagine possano diventare un punto di riferimento anche per altri.

GRAZIE, GRAZIE e ANCORA GRAZIE

Prof. Davide Betto

Giu 232013
 

Con il nome luna rosa, si definisce il fenomeno astronomico che si manifesta quando la luna e nel punto più vicino alla terra ed è in plenilunio. Questa notte, 22 giugno 2013 è previsto appunto questo spettacolo astronomico, quindi occhi all’insù per osservare il momento in cui il nostro satellite sarà più grande e brillante rispetto all’intero anno solare.

super luna rosa-2Astronomicamente il fenomeno è noto come perigeo ossia distanza minima del nostro satellite dalla terra. Tutti gli appassionati e non potranno osservare a occhio nudo una luna più grande del solito e anche più luminosa e la causa di un effetto ottico potrebbe apparire anche di colore rosa da cui il nome.
La distanza minima dalla Terra sarà raggiunta alle 7 del mattino, e corrisponderà a 356.991 chilometri.
L’evento di questo fine settimana non corrisponde ad un record assoluto: la Luna osservata il 19 marzo 2011 fu ancora più prossima al nostro pianeta; infatti, allora distava solo circa 356.577 chilometri dalla Terra. L’ultimo perigeo notevole si verificò nel 1993, quando la distanza tra noi e la Luna fu di soli 357.210 km.

Il fenomeno della super luna si verifica con una frequenza di 15, ai 16, 17 o 18 anni. La prossima cadrà nel 2028 o 2029, sebbene avremo un fenomeno parziale anche nell’agosto 2014, che sarà molto simile a quello a cui ci apprestiamo ad assistere nei prossimi giorni.
Quest’anno il bel tempo e il cielo sereno, secondo le previsioni, permetterà di ammirarla molto chiaramente.

Buona visione a tutti.

Giu 232013
 

LP3Sembra ieri, ma sono già passati 65 anni da quando fecero il loro debutto nel campo della musica, rivoluzionando per sempre il modo di ascoltarla. Sto parlando dei dischi in vinile, i famosissimi Long Playing che il 21 giugno hanno compiuto l’età di 65 anni dalla data del loro debutto, avvenuto nel 1948. L’annuncio  venne fatto a New York, al Waldorf Astoria Hotel dalla Columbia Records, che presentava al pubblico un disco in vinile da 12 pollici (circa 30 cm di diametro) in grado di contenere oltre 22 minuti di musica per lato.

GrammofonoEmile Berliner, inventore del grammofono, aveva capito, che i cilindri di Thomas Alva Edison non avrebbero avuto vita lunga come supporti di registrazione: erano delicati, difficili da produrre e potevano contenere solo quantità limitate di musica. Berliner ebbe l’idea di trasformare i cilindri in dischi sui quali sarebbe stata incisa la musica sotto forma di solchi impressi sulla superficie. Dopo i primi approcci dimostrativi, nel 1984 dalla sua Gramophone Company uscirono i primi prodotti commerciali del diametro di 17 centimetri circa (7 pollici) che venivano fatti girare alla velocità di 70 giri per minuto. Solo più tardi, e forse per ragioni tecniche, questa si sarebbe standardizzata sui 78 giri al minuto, diventando al tempo stesso sinonimo del primo vero disco, di gommalacca, dell’industria musicale.

Ma anche il disco di gommalacca ebbe un’evoluzione rapida grazie all’arrivo di nuovi materiali. Il materiale si chiamava PVC (polivinilcloruro) e fu inventata una nuova tecnica di incisione a microsolco. Grazie a queste innovazioni un ingegnere della Columbia Records, Peter Carl Goldmark, ridusse la grandezza dei solchi su dischi e i giri per minuto (fino a 33 e 1/3), consentendo di allungare il piacere dell’ascolto (ecco perché long playing), che nei 78 giri era limitato a pochi minuti.

LP2Dopo lo storico annuncio all’Astoria Hotel la Columbia Records rilasciò a distanza di una settimana nei negozi il primo vero Lp. A distanza di solo un anno ne ebbe venduti più di un milione. Questo innescò una competizione tra case discografiche per trovare soluzioni nuove e competitive. Nasce così  il 45 giri a 7″ di diametro ad opera della Rca. Per il compact disc passeranno ancora una trentina d’anni.

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Giu 222013
 

etna

Finalmente è successo, da oggi l’Etna, il nostro amato vulcano è diventato patrimonio mondiale dell’UNESCO. A PHNOM PENH in Cambogia l’Unesco ha definito l’Etna come uno dei vulcani “più emblematici e attivi del mondo“. Il comitato riunito nella sua sessione annuale a Phnom Penh in Cambogia, ha aggiunto che l’Etna è il più importante vulcano attivo in Europa con un’attività conosciuta da almeno 2.700 anni e ha “una delle storie documentate di vulcanismo più lunghe della storia“.

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E ancora, tra le motivazioni, l’Unesco scrive: “I crateri della vetta, i coni di cenere, le colate di lava, le grotte di lava e la depressione della valle del Bove fanno dell’Etna una destinazione privilegiata per la ricerca e per l’istruzione, esso continua ad influenzare la vulcanologia, le geofisica ed altre discipline della Terra“. E, infine, conclude con “La sua notorietà, la sua importanza scientifica e i suoi valori culturali e pedagogici sono d’importanza mondiale“.

Da oggi abbiamo un motivo in più per essere orgogliosi del nostro magnifico vulcano.

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Giu 172013
 
LA PROSPETTIVA (esteso)
Indice Argomenti
1 CENNI STORICI
2 LA TECNICA
3 LA FIGURA PREPARATORIA
4 PROSPETTIVA CENTRALE O FRONTALE
5 PROSPETTIVA ACCIDENTALE O D’ANGOLO
6 PROSPETTIVA OBLIQUA
7 IL METODO DELLA “X”
8 IL METODO DEI PUNTI DI DISTANZA
M MAPPA CONCETTUALE DELL’ARGOMENTO

Abbiamo visto come con le Proiezioni Ortogonali, riusciamo a rappresentare un oggetto attraverso la sua scomposizione in tre proiezioni da altrettanti punti di vista e di come tale tecnica serva principalmente a descrivere metricamente un oggetto. Abbiamo poi visto come con le Assonometrie riusciamo a dare una rappresentazione tridimensionale rapida e intuitiva dell’oggetto e di come esistano differenti tipi di visualizzazione a seconda di come posizioniamo gli assi di riferimento.

Esiste un’altra tecnica grafica per la rappresentazione dei disegni geometrici che prende il nome di Prospettiva. La prospettiva, altro non è che un artificio geometrico che consente di rappresentare su una superficie piana un oggetto così come appare all’occhio umano. Quindi, tra le tecniche di rappresentazione è quella che consente una visualizzazione degli oggetti più vicina alla realtà.

CENNI STORICI

Prospettiva2I primi esempi dell’uso della prospettiva compaiono nell’arte figurativa romana in modo embrionale, privo di regole e codifiche precise. Si parla più che altro di un tentativo di rappresentazione prospettica basata sulla sensibilità e sull’intuito dell’artista. Una vera e propria rivoluzione della tecnica la si ebbe nel quattordicesimo secolo ad opera dell’artista e architetto Filippo Brunelleschi (1377 – 1446). Con la sua grande maestria e la conoscenza approfondita del disegno tecnico, l’architetto fiorentino adotta per la prima volta il sistema di rappresentazione prospettica a un unico punto di fuga, per cui ne è anche l’inventore. La diffusione di questa tecnica fu rapida e accolta ben volentieri, perché in un’epoca di rinnovamento come il Rinascimento anche le novità nel disegno rappresentavano una svolta in quella direzione.

Proiezione-retteBrunelleschi basò il suo approccio sugli studi di Euclide della percezione visiva, ossia dei raggi luminosi che dall’oggetto si dirigono verso l’osservatore convergendo verso il centro dell’occhio sul piano della retina. Nella teoria formulata da Brunelleschi  i raggi proiettanti sono rette che toccano i vertici degli oggetti che si devono rappresentare, il centro di proiezione è il punto di vista e la retina è il piano di rappresentazione.

Il procedimento geometrico teorizzato da Brunelleschi fu completato e regolamentato da Piero della Francesca, verso la metà 1400. Egli scrisse il trattato “De prospectiva pingendi” che costituisce il primo studio organico della prospettiva con la formulazione di un preciso sistema di leggi e procedimenti matematici.

Dal rinascimento in poi la prospettiva sarà sempre più legata alle ricerca matematica, realizzando un passaggio dalla prospettiva rinascimentale di tipo centrale, a rappresentazioni su di un piano con modalità diverse (accidentale e obliqua). Questa parte della geometria prenderà il nome di Geometria Descrittiva.

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LA TECNICA

ElementiLa prospettiva consente, quindi, di vedere gli oggetti esattamente come li percepisce l’occhio umano. Immaginiamo, quindi, di guardare un oggetto senza muovere la testa e contemporaneamente con tutti e due gli occhi (visione binoculare). Possiamo definire un cono visivo che partendo dall’occhio dell’osservatore includa tutto l’oggetto da osservare. Questo dipende ovviamente dalla dimensione dell’oggetto e dalla distanza dell’osservatore da questo. Dall’esperienza condotta scientificamente, si è dimostrato che l’angolo migliore di apertura del cono visivo deve essere compreso tra i 30° e i 40°. Coni ottici con apertura maggiore generano aberrazioni ottiche simili a quelle che i fotografi ottengono usando un grandangolare come obiettivo per la loro macchina fotografica.

L’altro fattore fondamentale per una buona riuscita della prospettiva è la scelta del punto di vista. E’ facile intuire come sia possibile guardare un oggetto in infiniti modi e di come questo dipenda da tre parametri fondamentali: posizione dell’osservatore, distanza tra l’osservatore e l’oggetto e l’altezza del punto di vista. Ad esempio, nella prospettiva accidentale, l’asse visuale va collocato in corrispondenza della parte dell’oggetto che si vuole evidenziare (ad esempio un lato dell’oggetto piuttosto che un altro).

Per capire come ciò avviene, è necessario definire alcuni elementi base della tecnica prospettica. In pratica si tratta di osservare un oggetto e quindi di definire un osservatore (noi), scegliere l’oggetto da rappresentare, e immaginare di frapporre tra noi e l’oggetto un piano virtuale verticale, come una lastra di vetro trasparente, che rappresenta il piano sul quale disegneremo il nostro oggetto in prospettiva.

Vediamo quali sono gli elementi base della prospettiva:

dis. 1 OSSERVATORE – siamo noi, cioè coloro che osservano l’oggetto da una posizione ben precisa
dis. 2 OGGETTO – qualunque cosa vogliamo rappresentare in prospettiva; viene definita anche figura obiettiva
dis. 3 PIANO DI TERRA (PT) – è il piano orizzontale sul quale è collocato l’osservatore. Rappresenta in parole povere il pavimento sotto i nostri piedi. Si indica con le lettere P e T maiuscole
dis. 4 QUADRO PROSPETTICO (Q) – rappresenta il piano verticale interposto tra l’osservatore e la figura obiettiva; possiamo immaginarlo come una lastra di vetro posta verticalmente tra noi e l’oggetto che vogliamo rappresentare. Si indica con la lettera Q maiuscola
dis. 5 LINEA DI TERRA (LT) – rappresenta la linea di intersezione tra il piano di terra PT dove è poggiato l’osservatore e il piano di quadro prospettico Q.  Si indica con le lettere L e T maiuscole
dis. 6 PUNTO DI VISTA (PV) – rappresenta il punto dal quale guardiamo l’oggetto; quindi sono i nostri occhi. Si indica con le lettere P e V maiuscole
dis. 7 PUNTO DI STAZIONE (PS) – rappresenta il punto esatto sul piano di terra PT dove si trova l’osservatore. Quindi il punto nel quale poggiamo i nostri piedi. Si indica con le lettere P e S maiuscole
dis. 8 ALTEZZA (h) – rappresenta la distanza tra il punto di vista dell’osservatore PV e il punto di stazione PS dell’osservatore stesso. Si indica con la lettera h minuscola
dis. 9 RAGGI VISUALI – rappresentano tutte le rette virtuali che collegano il punto di vista, ossia l’occhio dell’osservatore, con tutti gli spigoli dell’oggetto da rappresentare
dis. 10 PUNTO PRINCIPALE (PP) – rappresenta il punto in cui l’asse visivo ortogonale che parte dall’occhio dell’osservatore, incontra il quadro prospettico Q. Si indica con le lettere PP maiuscole
dis. 11 LINEA DI ORIZZONTE (LO) – rappresenta la linea di intersezione tra il piano orizzontale parallelo al piano di terra passante per l’occhio dell’osservatore (PV). e il quadro prospettico Q. La linea di orizzonte varia al variare dell’altezza dell’osservatore. Si indica con le lettere L e O maiuscole
dis. 12 PUNTO DI DISTANZA (PD) – rappresenta la distanza del punto di vista PV dal piano di quadro Q. Serve a facilitare le rappresentazioni grafiche e si riporta a destra o a sinistra del Punto Principale PP sulla Linea di Orizzonte LO. Si indica con le lettere P e D maiuscole

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LA FIGURA PREPARATORIA

In molti casi, la realizzazione di una prospettiva corretta, richiede la preparazione di un disegno che rappresenti in vista dall’alto (pianta) l’oggetto da rappresentare e sul quale siano note e indicate le dimensioni dell’oggetto stesso. Questo disegno prende il nome di figura preparatoria. La realizzazione di questa figura, su foglio a parte o su un angolo dello stesso foglio, permette di realizzare una prospettiva in modo più semplice e diretto, e in molti casi anche in scala diversa generalmente più grande. Per cui, la figura preparatoria, rappresenta in molti casi un grande vantaggio nella realizzazione della prospettiva.

Figura-preparatoria

Prospettiva con figura preparatoria di un Triangolo Equilatero

Sulla base delle teorizzazioni sviluppate da allora, possiamo dire che esistono tre tipi di rappresentazione prospettica che variano in base alla posizione che l’oggetto assume rispetto a un piano di proiezione detto quadro. Per cui avremo:

  • prospettiva centrale o frontale; l’oggetto da disegnare è parallelo al piano di proiezione. Tutte le linee di profondità (lunghezza) convergono nello stesso punto (punto di fuga proprio), le linee parallele al quadro (larghezza) restano parallele, le rette verticali (altezza) restano verticali;
  • prospettiva accidentale o d’angolo; l’oggetto rappresentato è ruotato rispetto al quadro e nessuno dei suoi lati è a questo parallelo, vi sono così due punti di fuga in cui convergo le linee orizzontali (larghezza e lunghezza), ma le rette verticali (altezza) restano verticali;
  • prospettiva obliqua o razionale o a quadro inclinato; l’oggetto rappresentato è ruotato rispetto al quadro di proiezione anche verticalmente, vi sono così tre punti di fuga, due per le linee orizzontali (larghezza e lunghezza) ed uno per quelle verticali (altezza).

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PROSPETTIVA CENTRALE O FRONTALE

Prospettiva-CentraleCome detto precedentemente, nella prospettiva centrale, la posizione del piano di quadro Q è sempre parallela a un lato della figura o a un lato del quadrato o rettangolo che la contiene. Le rette parallele al quadro restano parallele anche in prospettiva e le rette verticali restano tali anche in prospettiva.

L’operazione preliminare per la prospettiva centrale, è la definizione in proiezione ortogonale delle dimensioni della figura. Bisogna quindi disegnare una figura preparatoria che prevede i seguenti passaggi:

disegnare la pianta della figura da rappresentare in prospettiva della quale, ovviamente, bisogna conoscere le dimensioni corrette;

costruire il piano di quadro (Q) in posizione parallela ad uno dei lati della figura;

si posiziona il punto di vista (PV) a una distanza tale che la figura rientri completamente nel cono visivo (normalmente una visuale con angolo di apertura non superiore ai 35° e in una posizione tale che l’asse visivo passi all’interno della figura, nel suo centro o vicino a questo;

si ribalta il punto di vista PV sulla linea di orizzonte LO individuando il punto di distanza PD;

si ribaltano i punti utili alla definizione della prospettiva sul lato opposto a PD tracciando delle rette inclinate a 45°.

Nella prospettiva centrale si possono utilizzare diversi metodi per ottenere l’immagine desiderata. Quelli più utilizzati sono:

Il metodo dei raggi visuali;

Il metodo del prolungamento dei lati;

Il metodo dei punti di distanza;

Il sistema del ribaltamento.

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PROSPETTIVA ACCIDENTALE O D’ANGOLO

Prospettiva-AccidentaleNella prospettiva accidentale,come detto, il piano di quadro Q non è parallelo ai lati dell’oggetto da rappresentare. La disposizione del piano dipende dall’effetto prospettico che si vuole ottenere. Una buona prospettiva si ottiene disponendo il quadro, nella figura preparatoria, con inclinazioni di 30° o 60° rispetto ai lati del rettangolo che contiene l’oggetto. E’ importante che l’angolo minore stia dal lato più importante della costruzione, cioè quello che vogliamo mettere in evidenza nella rappresentazione.

La scelta del punto di vista è importantissima per una buona riuscita del disegno. Anche in questo caso la sua posizione è arbitraria ma è consigliabile posizionare PV a una distanza tale che l’angolo formato tra i raggi visuali r’ ed r” (i raggi che da PV vengono diretti verso gli estremi della figura rappresentata in pianta), sia minore di 45°. In questo modo, i raggi visuali staranno all’interno del cono ottico e quindi l’immagine risultante sarà percettivamente corretta, quindi senza aberrazioni ottiche.

Nella prospettiva accidentale si possono utilizzare diversi metodi per ottenere l’immagine desiderata. Quelli più utilizzati sono:

Il metodo dei raggi visuali;

Il metodo dei punti di distanza;

Il metodo dei punti di fuga e delle perpendicolari al quadro;

Il metodo dei punti misuratori.

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PROSPETTIVA OBLIQUA

In questo caso, pure il Piano di Quadro Q è inclinato rispetto all’oggetto per cui anche le facce verticali dell’oggetto avranno un punto di fuga. Possiamo scegliere se il Piano di Quadro debba essere inclinato verso l’oggetto o verso l’osservatore.

Piano-di-Quadro-verso-osservatorePiano-di-Quadro-verso-oggetto

La prospettiva che si ottiene si chiamerà di conseguenza, prospettiva razionale dall’alto o prospettiva razionale dal basso. Questa prospettiva presenta maggiori difficoltà esecutive in confronto ai casi precedenti, per cui è raramente utilizzata. Inoltre il quadro può essere esterno, tangente o secante l’oggetto da rappresentare. Nel caso in cui sia secante, il quadro funge anche da Piano di Sezione come avviene negli spaccati prospettici.

Altro parametro da modificare che ci consente di ottenere differenti visualizzazioni dell’oggetto, è la quota del punto di vista PD rispetto all’oggetto da rappresentare. Quindi, potremo avere differenti visualizzazioni:

dal sotto in su, quando il punto di vista ha quota negativa, ossia quando viene posto più in basso della Linea di terra LT;

dal basso, quando il punto di vista è molto vicino alla Linea di terra LT fino a giacere su di essa. Avremo una prospettiva a raso terra, nella quale di conseguenza la linea di orizzonte coincide con la linea di terra;

ad altezza uomo, quando il punto di vista viene disposto a una quota variabile fra i 150 e 170 centimetri da terra. Questa rappresentazione ci consente di vedere gli oggetti come ci appaiono normalmente;

dall’alto, quando il punto di vista è situato a un’altezza maggiore di quella degli oggetti da rappresentare, così come avviene nelle viste dette a volo d’uccello.

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IL METODO DELLA “X”

Creare o dividere segmenti in parti uguali in prospettiva, soprattutto in quella centrale può essere lungo e tedioso. Però, si può utilizzare uno stratagemma, chiamato metodo della X, per creare segmenti equidistanti o dividere segmenti in parti uguali. Vediamo come fare.

Metodo X_movie

Immaginiamo di aver già fissato la LT e la LO e di aver individuato su LO il punto di fuga PV.

Tracciamo da un punto su LT una retta 1 e fughiamo su PV il suo punto base e la sua altezza.

Ad una certa distanza tracciamo un’altra retta verticale parallela a 1 che chiameremo retta 2.

Tracciamo adesso le diagonali tra i punti base delle due rette e le loro altezze; si disegnerà così una X (ecco da dove il nome di metodo della X).

Chiamiamo A il punto di intersezione tra le due diagonali e fughiamolo su PV.

Ora uniamo l’altezza della retta 1 con il punto medio sulla retta 2.

Dall’intersezione di questa retta con la fuga del punto di base della retta 1 individueremo il punto 3, base della retta 3 parallela alle due precedenti.

Allo stesso modo, dall’altezza della retta 2, tracciamo un segmento che interseca la retta 3 nel suo punto medio fino all’intersezione con la fuga del punto base della retta 1 che, individuerà un punto 4.

Da questo punto tracceremo la retta 4 parallela alle precedenti.

Procedendo analogamente, definiremo una serie di linee parallele, equidistanti, rappresentate in proiezione prospettica (vedi l’animazione sopra).

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IL METODO DEI PUNTI DI DISTANZA

Dobbiamo ad un altro grande architetto del passato, Leon Battista Alberti, la costruzione abbreviata in prospettiva che usa i cosiddetti punti di distanza, ossia rette inclinate a 45° rispetto al piano di quadro (Q) ottenute ribaltando sulla linea di orizzonte LO, la distanza del punto di vista PV dal quadro. L’uso dei punti di distanza, facilita moltissimo la costruzione delle figure in prospettiva centrale. Infatti, ogni punto può essere individuato dall’intersezione di una linea passante per il punto perpendicolare al quadro (che in prospettiva concorre al punto principale PP) con una linea, passante per il punto, inclinata di 45° rispetto al quadro (che in prospettiva concorre a un punto di distanza PD). In genere è sufficiente l’uso di un solo punto di distanza.

Metodo dei Punti di Distanza

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MAPPA CONCETTUALE DELL’ARGOMENTO

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Giu 132013
 

http://www.youtube.com/watch?v=ROwGv6Bp6Dw&w=560&h=420&rel=0

Molti di voi lo avranno intuito dal video pubblicato in queste pagine nei giorni precedenti. La conferenza degli sviluppatori della Apple è ancora in corso e sono state presentate durante la convention al Moscone Center tutte le novità hardware e software della casa di Cupertino. Ma una cosa in particolare mi ha colpito, ha colpito la mia fantasia e il mio immaginario. Ancora una volta la Apple è riuscita a stupirmi reinventando dalla base qualcosa di consueto. iOS 7 porta con se tante novità soprattutto quelle nella grafica, OSX Maverich il nuovo sistema operativo per computer Apple, porta con sé oltre 200 innovazioni, novità che utilizzeremo non appena saranno disponibili per i nostri dispositivi, tutte belle cose, sì, ma attese e in qualche modo già preventivate. Ciò che mi ha stupito è la presentazione invece di un oggetto hardware, il nuovo Mac Pro, con caratteristiche e contenuti assolutamente innovativi. Ancora una volta gli ingegneri e designer della Apple sono riusciti a stupire reinventando dalla base il computer desktop. Un piccolissimo cilindro nero lucido, una forma essenziale, lineare, un oggetto d’arredamento. A guardarlo si penserebbe ad una lampada, a un vaso ma non sicuramente al computer top della gamma della Apple.

Apple-Mac-Pro-2013-1

Si tratta di un progetto avanzatissimo; un core termico unificato capace di distribuire in modo efficiente tutta la capacità termica fra i processori. Questi saranno due nuovissimi processori Intel Xeon E5 di prossima generazione. La workstation integrerà in uno spazio pari ad 1/8 di quello occupato dalla precedente generazione di Mac Pro, due GPU grafiche di classe workstation (pare saranno delle ATI FirePro ottimizzate e realizzate a posta per Apple capaci di ottenere prestazioni superiori del 45% rispetto alle più veloci schede grafiche attualmente sul mercato, 6 porte Thunderbolt 2 che consentiranno di collegare in serie fino a 36 devices a piena velocità in catena, archiviazione basata su memorie flash basata su PCIe e memoria ECC. In poche parole, un mostro.

MACPRO_ScrollI nuovi processori Intel Xeon E5 saranno disponibili con configurazioni fino a 12 core e saranno capaci di offrire prestazioni di calcolo in virgola mobile pari al doppio degli attuali Xeon.

MacPro04

MacPro05

MacPro06

Anche i classici colli di bottiglia dei computer attuali saranno superati; per l’archiviazione dati le memorie flash basate su PCIe, consentiranno uno storage fino a 10 volte più veloce dei tradizionali dischi rigidi desktop e l’aggiunta delle memoria ECC DDR3 a quattro canali a 1866MHz consentirà un flusso dati fino a 60GBps. Per chiarire, la nuova macchina consentirà di montare video in 4K (4 volte il FullHD) a risoluzione piena mentre si esegue allo stesso tempo il rendering degli effetti in background.

Con le sue 6 porte Thunderbolt, 4 porte USB 3, 2 porte Gigabit Ethernet e una porta HDMI 1.4, Apple ha creato anche la macchina più espandibile in assoluto.

Ancora Apple non ha reso noto le date di uscita ed i costi di questo “mostro”, ma ha confermato che sarà entro l’anno. Il mondo dei professionisti ha nuovamente di che gioire, si tratta solo di aspettare.

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Giu 112013
 

Lenti-a-contatto_Scroll

Su indicazione di un mio alunno, propongo oggi un articolo interessantissimo che tratta di una novità tecnologica di grande rilievo. Ispirato forse dai Google Glass, Fabrizio scandagliando la rete ha trovato un blog che parla di un’innovazione che ci richiama ad altri argomenti già affrontati su queste pagine. Vi ricordate il grafene? Ebbene, un team di ricercatori di tutto il mondo ha sviluppato una tecnologia per la realizzazione delle lenti a contatto del futuro.

Si tratta di un mix altamente conduttivo ed elastico realizzato da fibre di grafene e da nanofili di argento trasparente. Questi, fissati ad un obiettivo off-the-shelf permettono la realizzazione di un dispositivo molto simile ai Google Glass, ma sotto forma di lente a contatto.

Lenti a contattoI ricercatori hanno testato per lungo tempo queste nuove lenti sull’occhio dei conigli in quanto molto simili a quello umano. Nei test condotti per cinque ore consecutive di applicazione della lente sull’occhio del coniglio, questi non hanno tentato di strappassero strofinandosi e non avuto neanche ricavato arrossamenti percepibili sulla cornea.

Il capo della ricerca Jang Ung-Park, ingegnere chimico presso l’Istituto Nazionale di Ulsan della Scienza e della Tecnologia, ha affermato di voler realizzare un dispositivo che svolga le stesse funzioni dei Google Glass solo senza tutta la struttura esterna, quindi adattandoli direttamente alla forma dell’occhio umano.

Riusciranno i ricercatori a realizzare questo ambizioso progetto?

Grazie Fabrizio per la consulenza.

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Giu 112013
 

PS4

La guerra è appena iniziata. Non appena Microsoft ha presentato la sua Xbox One, Sony risponde con la presentazione di PlayStation 4 l’ultima incarnazione della sua consolle da salotto. Anche in questo caso pochi fronzoli, poca cura nei riguardi dell’estetica ma pura potenza e una particolare attenzione ai contenuti digitali che il device in grado di fornire all’utente.

PS4_3

Ai contenuti digitali la PlayStation 4 farà riferimento al catalogo della Sony Pictures sia per quanto riguarda il cinema che per quanto riguarda la musica. Dall’altro lato, la PlayStation 4 come la Xbox One fornirà un’enorme catalogo video ludico. Molti servizi saranno attivi sin dalla presentazione della consolle come ad esempio Video Unlimited e Music Unlimited che garantiranno archivi musicali e cinematografici in costante aggiornamento. Inoltre la PlayStation quattro consentirà la visione di eventi live e di condividerli.

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I Gamepad della consolle sono stati semplicemente rivisti e migliorati, ma esteticamente sono molto simili se non uguali agli attuali.

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Non si parla ancora di data di uscita anche se molto probabilmente è prevista per il periodo natalizio, che tradizionalmente è il periodo di maggiore picco negli acquisti da parte degli utenti. Il costo indicativo sarà di €399, ben €100 in meno del costo della Xbox One.

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[youtube http://www.youtube.com/watch?v=V-lTKBElPaM&w=560&h=420&rel=0]

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Giu 102013
 

WWDC2013

iveMancano poche ore all’evento più importante per la Apple, il WWDC 2013. La conferenza degli sviluppatori che si tiene ogni anno nel mese di giugno al Moscone Center di San Francisco in California. Certamente la Apple presenterà grandi novità in questa manifestazione e soprattutto l’attenzione va rivolta alla nuova versione del sistema operativo iOS per dispositivi mobili: pare verrà presentata, infatti, la versione 7 del sistema operativo. Le novità dovrebbero essere tante e di grande portata perché per la prima volta a dirigere il settore relativo ai sistemi operativi mobili è Jonathan Ive, il designer che ha disegnato gran parte dei device Apple dall’iMac all’iPhone all’iPad.

Molti rumors si sono rincorsi sulla rete in questi giorni, cercando di anticipare tutte le novità che la conferenza presenterà agli sviluppatori e al pubblico. Una cosa appare certa, e che le novità sullo iOS 7 saranno soprattutto di tipo grafico. Infatti, in questi giorni è stato allontanato dalla Apple l’ingegnere che fino ad ora si era occupato di iOS 7, ossia Scott Forstall. Scott, era un fautore del cosiddetto skeumorfismo, ossia quel particolare tipo di design che cerca di riprodurre in forma digitale gli oggetti le caratteristiche reali. Gli iOS finora sviluppati dalla Apple sono infatti stati caratterizzati da una ricchezza di icone che rappresentava in miniatura oggetti della vita quotidiana. Jonathan Ive invece, al contrario di Scott, propone un design minimalista con interfaccia grafica piatta molto semplice e sovrabbondanza di bianco e nero. Tutto ciò sempre nella tradizione Apple di mantenere sempre la semplicità d’uso del suo sistema operativo nonché la continuità nella facilità d’uso e le modalità di interazione.

iOS7_ScrollTutto fa pensare a questo, infatti le immagini che sono già state pubblicate sulla rete del Moscone Center di San Francisco, mostrano un design nuovo essenziale con colori piatti a contrasto.

Il conto alla rovescia è oramai finito. Tra poche ore infatti apriranno le porte del Moscone Center e la convention avrà inizio e saranno rivelati al mondo il nuovo iOS e altre grandi probabili caratteristiche, visto che dalle immagini e dagli striscioni pubblicati al Moscone Center questa innovazione non colpirà soltanto lo iOS, ma coinvolgerà anche il sistema operativo dei computer Apple e probabilmente seguirà anche la presentazione di qualche dispositivo hardware.

Vedremo quindi come questa sera la Apple sarà ancora in grado di stupire il mondo con la sua innovazione e la sua straordinaria semplicità.

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