Nov 072018
 

Volete fare gli esploratori? Volete volare fino a Marte e farvi un giretto per le sue lande desolate? Beh, forse potreste riuscirci e forse potreste anche riuscire a collaborare con la NASA, l’Ente Spaziale Americano. La NASA, infatti, per la prima volta si apre alla collaborazione di menti esterne che possano in qualche modo fornire soluzioni o idee innovative per i mezzi marziani del futuro. Si, perché proprio di questo si tratta. La NASA ha reso disponibili sulla piattaforma GitHubil progetto open source con le istruzioni e i progetti per realizzarsi in casa un ROVER, uno di quei simpatici mezzi a 6 ruote sterzanti capaci di procedere su qualunque tipo di terreno. Vi ricordate Curiosity, l’eccezionale rover poggiatosi sulla superficie marziana che ha inviato alla Terra montagne di fotografie e informazioni importantissime sulle caratteristiche del pianeta rosso fino ad ora sconosciute? Si, proprio lui. Adesso potrete costruirvene uno pure voi a casa spendendo solamente 2.000 dollari.

La NASA, ha infatti reso pubblico il Jet Propulsion Laboratory (JPL) Open Source Rover (OSR), il kit digitale liberamente scaricabile che renderà tutti esploratori spaziali.

Gli elementi da assemblare sono tutti facilmente reperibili sui normali cataloghi di forniture elettroniche ma richiedono una attrezzatura base da laboratorio composta da una sega a nastro per tagliare il metallo, un trapano, un saldatore, cesoie, chiavi inglesi ed altri accessori da ferramenta. Il kit è composto dagli elementi di Curiosity e cioè sospensioni Rocker-Bogie, sterzo angolare e differenziale pivotante che, permette il movimento su terreni accidentati, Raspberry Pi l’unità di calcolo centrale. Secondo i realizzatori del progetto, una volta acquistati i pezzi e l’attrezzatura necessaria, è possibile assemblare il rover in circa 200 ore di lavoro per una persona pratica di assemblaggio e modellismo.

Il kit, molto dettagliato fornisce informazioni passo passo per la costruzione, ma è strutturato in modo da lasciare autonomia di scelte al novello scienziato. Ognuno potrà decidere, lungo il percorso, cosa aggiungere o sottrarre al proprio rover. Pannelli solari, telecamere USB, controller o altro.

Mik Cox il project manager del progetto, crede che questa sperimentazione possa servire ad avvicinare il mondo dell’esplorazione alle nuove generazioni, agli scienziati in erba e ai giovani ricercatori e ingegneri, fornendo già in età scolare gli strumenti di creatività che potrebbero essere disponibili solo successivamente, così da stimolare tanti a intraprendere indirizzi del genere.

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Nov 062015
 
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E’ da molti anni che gli enti spaziali mondiali, alla ricerca di un propulsore idoneo a lunghi viaggi spaziali, hanno focalizzato la loro attenzione su motori definiti ionici ad effetto Hall. Si tratta di una ricerca che ha origini antiche visto che già dagli anni ’50-’60 Stati Uniti ed ex Unione Sovietica avevano avviato studi in questa direzione.

Ma come funziona un motore ionico e quali sono i suoi vantaggi rispetto ai tradizionali motori a combustibile chimico? Scopriamolo insieme.

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I motori ionici, intrappolano degli elettroni in un campo magnetico e li utilizzano per ionizzare il propellente, normalmente xeno. A questo punto, un campo magnetico genera un campo elettrico che accelera gli ioni carichi che, nel loro percorso creano il tipico pennacchio di scarico di plasma capace di spingere un veicolo spaziale. Questo processo, ha il vantaggio di consumare pochissimo. Basti pensare che il propulsore a effetto Hall installato sul veicolo spaziale SMART-1 dell’Agenzia Spaziale Europea in 13 mesi ha consumato circa 60 kg di xeno. Inoltre, lo xeno è un gas non reattivo, per cui non può esplodere rendendo questo combustibile anche sicuro. La propulsione generata da questo tipo di motori è più piccola rispetto a quella generata dai motori chimici, ma la sua efficienza è tale che può alimentare le navette fino a portarle alla velocità nominale di circa 112.000 miglia orarie risultando essere circa 10 volte più efficienti dei motori a propulsione classici.

Tali propulsori, sono già in uso da parecchi anni. Sin dal 1971 sono in orbita, montati sui satelliti geostazionari come propulsori per la loro stabilizzazione. Non sono stati utilizzati nei viaggi spaziali, proprio per la mancanza dell’ottimizzazione della durata e dell’efficienza. I classici propulsori effetto Hall, garantiscono infatti una vita media di 10.000 ore oltre le quali, il flusso di plasma degrada significativamente le pareti del motore rendendolo inutilizzabile.

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Un viaggio spaziale importante, come quello che si progetta su Marte, richiederebbe almeno il triplo delle ore di durata per poter essere effettuato in sicurezza.

Sulla base di queste esperienze, un gruppo di fisici francesi è riuscito nell’intento di creare un prototipo di propulsore in grado di consentire un lunghissimo viaggio nello spazio profondo. Questo propulsore fa dell’efficienza la sua arma migliore, infatti, è in grado di consumare fino a 100 milioni di volte in meno il carburante utilizzato dalle normali navette a combustibile chimico. I fisici sono riusciti anche nell’intento di eliminare il danneggiamento fisico delle parti interne del motore. Hanno spostato l’anodo (elettrodo positivo) al di fuori del campo magnetico ottenendo così un propulsore senza pareti, quindi senza i vincoli sia del degrado della struttura che della limitazione della spinta (l’anodo, nella prima versione era posto all’interno del campo magnetico e questo lo faceva interagire con la nube di elettroni riducendo le prestazioni di spinta).

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Sicuramente si sono fatti grossi passi in avanti nella ricerca e sperimentazione dei propulsori ionici, ma tanto ancora bisogna fare e capire. Julien Vaudolon, l’autore principale dello studio, ha pubblicato i risultati di questa ricerca confermando i buoni risultati raggiunti, ma anche i numerosi dubbi che si sono aperti e che sono ancora da chiarire.

La conclusione è che grandi miglioramenti sono stati compiuti in questa direzione, però si è ancora lontani dall’aver compreso chiaramente come funziona la fisica dei propulsori ionici. Altre ricerche e studi dovranno essere condotti e i costi sono molto elevati. Le speranze sono grandi, però lungi dall’essere pronti ad utilizzare tali propulsori come motori delle prossime spedizioni spaziali.

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Dic 022012
 

Da tempo, la sonda spaziale americana Curiosity, girovaga libera in esplorazione sulla superficie di Marte. Ma qualche giorno fa, lo scienziato John P. Grotzinger, leader del progetto Curiosity, in un’intervista alla radio americana Npr, si è lasciato sfuggire che, la sonda avrebbe fatto una scoperta di portata storica. E’ bastata questa semplice frase, in quanto lo scienziato non ha più detto nulla, per scatenare un tam tam mediatico e su internet con illazioni e ipotesi sulla grandiosa scoperta. E le parole di Charles Elachi, direttore del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, non hanno fatto altro che alimentare questa sete di curiosità. Elachi ha affermato che Curiosity potrebbe aver scoperto “molecole organiche e non biologiche”. La conferma a tutte queste supposizioni dovrebbe venire il 3 dicembre a San Francisco in occasione dell’incontro dell’American Geophysical Union.

Sicuramente la scoperta ha a che fare con il Sample Analysis at Mars, noto come SAM, cioè il braccio robotizzato della sonda con la quale Curiosity sta analizzando un minuscolo campione di sabbia raccolto sul terreno marziano. Il lavoro della sonda, iniziato il 9 novembre, non è ancora finito, ma la fantasia e la curiosità degli scienziati e degli appassionati del settore, ha iniziato a galoppare.

La scoperta di queste molecole organiche sul pianeta rosso, ha un’importanza storica, in quanto negli anni passati gli scienziati, erano convinti che su Marte potesse essere esistita la vita in virtù della presenza di queste molecole. Gli scienziati tentarono di dimostrare questa tesi attraverso i risultati raccolti dalla sonda Viking, ma questa ipotesi fu bocciata proprio perché non trovate, in quell’occasione, tracce di molecole biologiche. Curiosity, ha spiegato Elachi, non è dotato di strumenti idonei a trovare molecole di questo tipo, cioè composti a base di carbonio che, non provano l’esistenza della vita, ma senza di esse questa non può svilupparsi, almeno nel nostro modo di concepirla. Curiosity, comunque, ha la capacità di riconoscere queste molecole; e se così fosse, ribalterebbe in un colpo solo tutte le teorie che avevano bocciato l’ipotesi di vita su Marte.

Ad alimentare le attese e la curiosità ci si è messa pure la NASA attraverso il Jet Propulsion Laboratory che ha twittato il messaggio “La missione, finirà nei libri di storia“.

Restano comunque tantissime incognite. Lunedì 3 scopriremo insieme di cosa si tratta, anche se la cautela in questi casi è d’obbligo. Infatti, pare difficile che una sonda non attrezzata per analisi di laboratorio approfondite riesca a fornire risultati così sorprendenti su campioni raccolti in superficie. E’, invece, più attendibile trovare realmente resti organici più in profondità, formati presumibilmente in epoche più umide e con condizioni ambientali diverse. Ma per arrivare a questi livelli ci vorranno ancora parecchi mesi di lavoro per la piccola sonda “curiosa”.

Noi di educazionetecnica.com staremo attenti a quello che succederà domani e riferiremo su queste pagine.

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